24 gennaio 2017

Carenza di ferro in gravidanza

Per fare un bambino serve tanto ferro. È indispensabile per produrre emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi responsabile del trasporto dell’ossigeno dai polmoni a tutto l’organismo. Inoltre, gioca un ruolo fondamentale nel metabolismo delle cellule e nella loro replicazione, per sviluppare tessuti e organi. Alla nascita il bimbo ne possiede una scorta che gli basterà per i primi sei mesi di vita, scorta che proviene dalle riserve materne. La carenza di ferro in gravidanza è un problema che non puoi permetterti di sottovalutare. Per questa ragione, durante l’attesa il fabbisogno giornaliero di ferro della donna è di circa 30 mg, quasi il doppio rispetto ai 18 mg al giorno necessari a una donna che non è incinta. Quando il minerale scarseggia, la prima a risentirne è la mamma, che sperimenta debolezza, affaticamento, capogiri e cefalea. Se la carenza è grave e non viene corretta prontamente, le conseguenze possono coinvolgere anche il nascituro, con un aumento del rischio di parto prematuro e basso peso alla nascita.

Quale anemia?

Se si verifica una mancanza di ferro, il midollo osseo non è in grado di produrre la giusta quantità di globuli rossi. Il risultato è l’anemia, cioè una riduzione della concentrazione dei globuli rossi e, dunque, dell’emoglobina nel sangue. In gravidanza, però, entro certi limiti questa condizione non è patologica, ma fisiologica. Il sangue materno deve irrorare i tessuti della donna e del nascituro, quindi, con il passare dei mesi il suo volume aumenta per far fronte alla crescita del feto. Non in modo uniforme, però. Il volume del plasma, cioè della parte liquida del sangue, cresce complessivamente del 50% circa, mentre globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, cioè la parte corpuscolata del sangue, aumentano appena del 20%. Questo fenomeno, che prende il nome di emodiluizione, è fisiologico e comporta un abbassamento della concentrazione ematica dei globuli rossi. Normalmente si considera anemica una donna che abbia una concentrazione di emoglobina inferiore a 12 g/dl di sangue. Nell’attesa, la soglia si abbassa a 11 g/dl nel primo trimestre e a 10,5 g/dl nei due successivi.

Anemia in gravidanzacome riconoscerla

Cosa c’è nel piatto?

Diversi fattori, combinati all’emodiluizione e al maggior fabbisogno di ferro, possono contribuire all’insorgenza di un’anemia patologica, un’eventualità che riguarda il 40% circa delle gravidanze.

In primo luogo un’alimentazione inadeguata, povera di ferro. Il minerale è presente nei cereali, nei legumi e nei vegetali a foglia verde, ma quello contenuto nella carne, nel pesce e nelle uova viene assimilato in percentuale maggiore. Le diete vegetariane possono dunque risultare carenti, se non sono attentamente bilanciate.

Alcune donne, poi, sono già anemiche all’avvio della gravidanza, senza saperlo. Per questo si consiglia di sottoporsi a emocromo e ferritinemia ancora prima del concepimento, al fine di valutare le riserve di ferro dell’organismo.

Infine, sono a maggior rischio di anemia gravidica le donne che aspettano due gemelli e quelle che soffrono di fibromi uterini o placenta previa, due condizioni responsabili di frequenti piccole perdite di sangue.

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Prima l’emocromo poi la ferritina

Per diagnosticare precocemente le future mamme anemiche, le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità prevedono a inizio di gravidanza uno screening basato sulla misurazione dei livelli di emoglobina nel sangue, il cosiddetto emocromo. Se il risultato è inferiore alla soglia della fisiologia, è previsto un ulteriore accertamento: il test della ferritina, per misurare le riserve di ferro dell’organismo e verificare che l’anemia abbia origine da una sua carenza e non da altre patologie più rare, come l’anemia falciforme o l’anemia magaloblastica (ovvero un’anemia causata non da carenza di ferro, ma di acido folico).

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L’emocromo va ripetuto alla 28a settimana, perché a partire da quest’epoca aumenta in modo significativo il rischio di anemia gravidica. L’ultimo esame è previsto tra la 33a e la 37a settimana. È importante conoscere la concentrazione dell’emoglobina in vista della nascita, perché durante il parto la mamma perde inevitabilmente una quantità di sangue non trascurabile. Nel migliore dei casi si tratta almeno di 200-300 cc. Se la donna era già anemica, deve necessariamente fare ricorso a una trasfusione.

Integratori, sì ma…

Se non ci sono altri fattori predisponenti, un’alimentazione completa ed equilibrata dovrebbe essere sufficiente per garantire alla donna in attesa un adeguato apporto di ferro. Non è necessario, dunque, prescrivere un integratore a tutte le future mamme. D’altra parte non è il caso di aspettare un’anemia conclamata per intervenire. Si prescrive la supplementazione di ferro, oltre che alle donne con anemia diagnosticata, anche nei casi a rischio, cioè in presenza di gravidanza gemellare, fibromi uterini e placenta previa. In commercio si trovano molti integratori che contengono il minerale in due forme chimiche differenti, ferro bivalente o trivalente. L’intestino umano assorbe solo quello in forma bivalente. Quello trivalente viene trasformato in bivalente nel processo digestivo, ma la sua assimilazione è ridotta.

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Alcuni integratori contengono anche vitamina C, che favorisce l’assorbimento intestinale del minerale. Teoricamente i supplementi di ferro andrebbero assunti a stomaco vuoto lontano dai pasti. In queste condizioni, però, spesso provocano spiacevoli disturbi gastrointestinali: bruciore di stomaco, gonfiore, stipsi o, al contrario, ipermotilità intestinale. Per attenuare questi fastidi, si può assumere l’integratore a stomaco vuoto, anche se così facendo se ne riduce un po’ l’assimilazione, oppure associarlo a un antiacido indicato dal medico curante.



Fonte: http://www.dolceattesa.com/gravidanza/carenza-di-ferro-in-gravidanza_alimentazione_benessere_prevenzione/

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