Fino a 20 settimane, quasi tutti i bambini si sviluppano nel grembo materno più o meno allo stesso modo, grazie a una replicazione cellulare incessante e molto intensa. Nella seconda metà della gravidanza, però, ogni feto segue una crescita individuale, condizionata principalmente dal peso materno e da fattori razziali e costituzionali, fino ad arrivare alle ultime settimane, quando la crescita rallenta e il piccolo si prepara a venire alla luce. Ma come si fa a stabilire quanto pesa nel pancione e quanto peserà alla nascita? E come fare per sapere se sta crescendo bene? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Caruso, ordinario di clinica Ostetrica e Ginecologica del Policlinici universitario Agostino Gemelli di Roma.
Peso in gravidanzaQuanti kg nei nove mesi?
Sarà un bebè grande o piccolo?
In condizioni fisiologiche, la crescita fetale è determinata principalmente dal peso con cui la futura mamma inizia la gravidanza e dal suo aumento ponderale durante i nove mesi. La condizione ideale perché il bambino si sviluppi in modo ottimale è che all’inizio dell’attesa la donna sia normopeso e aumenti fra i 10 e i 13 chili nel corso della gestazione. Per questo, se la gestante è sottopeso, sarà opportuno correggere subito la sua alimentazione per consentirle di accumulare le ‘riserve’ di cui il bambino avrà bisogno per crescere, altrimenti è alta la probabilità di dare alla luce un neonato al di sotto dei 3 kg. Viceversa, donne che partono sovrappeso dovranno moderare l’introito calorico giornaliero per limitare l’aumento ponderale complessivo, che potrebbe favorire la formazione di un bebè macrosomico. Oltre al peso materno, a condizionare la crescita del nascituro intervengono fattori razziali e genetici. Ci sono popoli dalla struttura più minuta, come quelli dell’Estremo oriente, e altri di statura più elevata, come quelle nordiche: necessariamente, i figli si allineeranno ai loro parametri. Così, se da due genitori magrolini difficilmente verrà fuori un bimbo grassottello, nel caso in cui entrambi i genitori siano di corporatura robusta sarà davvero improbabile che il bebè nasca mingherlino. E se, invece, mamma e papà hanno una corporatura diversa fra loro? Quasi sicuramente prevarrà la costituzione materna.
Qual è il periodo in cui il feto si sviluppa di più?
La crescita del nascituro è più evidente nella seconda parte della gestazione, ma è nel primo trimestre che il suo sviluppo è davvero ‘tumultuoso’, con una replicazione cellulare velocissima, che da un minuscolo granellino lo porta a diventare, a metà gravidanza, un bambino già formato di 20 cm circa di lunghezza. Il maggiore aumento ponderale si verifica invece tra le 33 e le 36 settimane, quando il feto prende in media 200 grammi a settimana, per poi rallentare nell’ultimo periodo.
Come si calcola se tutto è ok?
Il peso del bambino comincia a essere verificato dal ginecologo a partire dalle 20 settimane: salvo grandi patologie o malformazioni fetali, fino a 18-19 settimane i bambini si sviluppano tutti in modo uniforme, mentre è dopo quest’epoca che possono evidenziarsi differenze di crescita. Per effettuare una valutazione, lo strumento principe è l’ecografia. In particolare, vengono presi in considerazione alcuni parametri: il diametro biparietale (ossia la misura dalla sporgenza dell’osso parietale destro alla sporgenza sinistra, che corrisponde al punto di maggiore larghezza della testa), la circonferenza cranica, il diametro e la circonferenza addominale, la lunghezza del femore e dell’omero. I dati vengono elaborati dal computer dell’ecografo, che consente di ricavare il peso approssimativo e di confrontarlo con il peso di riferimento relativo alla settimana di gestazione, secondo quanto stabilito dalle curve di accrescimento espresse in percentili (del tutto simili a quelle che adopererà il pediatra nei primi mesi di vita del bambino). L’ideale è che il peso del nascituro sia compreso tra il 30° e il 70° percentile, anche se si considera normale un range dal 10° al 90° percentile, mentre al di sotto del 10° e al di sopra del 90° il bambino è rispettivamente sottopeso e sovrappeso. Si tenga presente però che, pur trovandosi entro il range di normalità, quel che conta non è tanto il valore in sé, ma la variazione nel tempo: a volte un bambino potrebbe collocarsi al 20° percentile semplicemente perché è minuto per costituzione, ma se nel corso dell’attesa continua a seguire la sua curva di crescita, si può considerare che va tutto bene. Se, invece, nel giro di alcune settimane scende dal 40° al 20°, potrebbe essere il segnale che qualcosa non va.
Ma quanto è attendibile la stima del peso dell’ecografia? Il margine di errore si aggira intorno al 10%. Questo significa che, se ad esempio l’ecografista stima un peso di 1500 grammi, il bambino in realtà può essere tra i 1350 e i 1650 grammi. E quanto più il bambino è grande e la gravidanza è in stato avanzato, tanto maggiore può essere la probabilità di errore, che può arrivare fino al 12-15%.
C’è differenza fra maschi e femmine?
“No, la crescita non cambia in base al sesso e lo dimostra il fatto che i percentili di riferimento sono gli stessi per maschi e femmine, anche se mediamente, a termine gestazione, si rileva una differenza di peso di circa 200-300 grammi, mentre la differenza di lunghezza è minima”, risponde il Alessandro Caruso.
Quanto incide l’alimentazione della mamma?
Una dieta varia ed equilibrata è importante per un corretto sviluppo del bebè. Ma questo non significa che esistano alimenti in grado di favorirne la crescita. Se il peso materno di partenza è normale, per il corretto sviluppo del bambino è sufficiente che la mamma si rifornisca quotidianamente di tutti i principali nutrienti – carboidrati, proteine, grassi, oligoelementi – incrementando l’introito calorico di circa 200-300 kcal al giorno. Mangiare di più, specie alimenti ricchi di zuccheri e grassi, non serve a far crescere meglio il bambino, ma solo a farlo aumentare eccessivamente di peso. E un bimbo più grasso non significa un bimbo più sano. Anzi, si è notato che più i bebè sono grassottelli alla nascita, più sono deboli, perché il loro metabolismo si è abituato a certi livelli di zuccheri e l’adattamento alla vita fuori dall’utero potrebbe essere più difficoltoso, fino a provocare, nei casi più seri, crisi ipoglicemiche. Inoltre, un’alimentazione troppo ricca mette sotto sforzo il metabolismo della futura mamma, che potrebbe andare incontro a patologie come diabete gestazionale o ipertensione.
E se il piccolo cresce poco?
Che cosa succede se a un certo punto della gravidanza si rileva una riduzione della crescita fetale? Il ritardo di crescita è legato principalmente a un’insufficienza placentare, che si verifica quando l’organo non riesce a garantire i corretti scambi tra mamma e bambino. In genere, i problemi di insufficienza placentare si verificano già al momento della formazione della placenta, poiché sono legati a un impianto ‘difettoso’, anche se i suoi effetti cominciano a vedersi nella seconda parte della gravidanza.
A volte, a determinare la riduzione di crescita possono essere patologie materne, come la trombofilia (ossia un’eccessiva coagulabilità del sangue, dovuta essenzialmente a cause genetiche) e l’ipertensione, specie se dovesse evolvere in preeclampsia, patologia seria della gravidanza che altera la funzionalità placentare. Meno frequentemente, può capitare che il danno si verifichi nel corso dei mesi. È quel che può succedere quando la placenta è previa, cioè è posta in prossimità del segmento uterino inferiore: il tessuto della parte bassa dell’utero è infatti meno ricco di vasi e quindi meno adatto ad accogliere la placenta, che quindi potrebbe non funzionare in modo ottimale. Altra evenienza è quella in cui si verificano piccoli distacchi di placenta che, pur cicatrizzandosi, possono ridurre anche di parecchio la superficie di scambio tra mamma e bebè.
Senza dimenticare alcune cattive abitudini come il fumo di sigaretta, che andrebbe eliminato del tutto prima ancora di cercare una gravidanza perché provoca vasocostrizione e danneggia i vasi placentari. Se si rileva un iposviluppo fetale, i comportamenti da adottare dipendono dal singolo caso, ma la strategia più efficace è quella di monitorare la crescita per stabilire il momento più opportuno in cui far nascere il bambino visto che, restando in utero, non gli è più garantito il sufficiente apporto di nutrimento e soprattutto di ossigeno. A volte si prescrivono iniezioni di eparina allo scopo di fluidificare il sangue e favorirne il passaggio al feto, ma è una terapia che si rivela efficace solo se instaurata tempestivamente e non quando la restrizione di crescita è già conclamata. Il riposo e cercare di condurre una vita più tranquilla può servire perché è bene che tutto il sangue resti a disposizione del bambino e non venga ‘disperso’ per il lavoro muscolare. Tuttavia, non vi è una dimostrazione scientifica certa che possa servire a risolvere il problema.
E se la gravidanza è gemellare?
Portare in grembo due feti comporta necessariamente per loro una riduzione di crescita rispetto a quanto accade a un feto singolo, anche se la gravidanza procede nel migliore dei modi e ogni bimbo si sviluppa nel suo sacco amniotico ed è nutrito dalla sua placenta (condizione che, in termini medici, è definita gravidanza biamniotica e bicoriale).
“A essere precisi, fino a 23-24 settimane i gemelli crescono come i feti unici, perché c’è spazio e nutrimento a sufficienza per entrambi”, fa notare Alessandro Caruso. “Dopo quest’epoca, lo sviluppo diminuisce un po’, fino ad arrivare a circa 38 settimane, quando i gemelli possono pesare in condizioni di normalità 2,8-2,9 kg, ovvero circa il 15% meno del peso di un singolo bambino, che si aggira intorno ai 3,2-3,3 kg. Non ci sono curve di crescita specifiche, ma in linea di massima quel che sarebbe un 20° percentile per un bambino unico diventa il 50° percentile per un gemello”.
Di solito entrambi i gemelli crescono in modo simile tra loro, anche se si considera normale una discordanza di peso del 12-15%. “Va detto infatti che le zone uterine in cui si impianta la placenta non sono tutte equivalenti quanto a capacità di erogare nutrimento e ossigeno: questo significa che, quando il bebè in utero è uno solo, la placenta si impianta in genere nel punto migliore, dove può intrecciare gli scambi ottimali con l’organismo materno; quando invece le placente che devono insediarsi sono due, può darsi che una si collochi in una posizione meno favorevole e quindi uno dei due bebè cresca un po’ meno; ecco perché, se la differenza di peso tra i due supera il 20%, è necessario effettuare controlli ulteriori per verificare che non vi siano problemi di funzionalità placentare”.
Più problematica – e fortunatamente meno frequente – l’evenienza in cui i gemelli condividono anche la stessa placenta (monocoriali): in una minoranza di casi potrebbe capitare infatti che vi sia uno scambio anomalo di sangue tra i due feti (detto trasfusione feto-fetale), per cui uno ne succhia di più e diventa più grande, a discapito dell’altro, che cresce molto meno. Si tratta di una situazione patologica che deve essere monitorata attentamente per valutare se e come intervenire.
Lo stress può influire sulla crescita del feto?
Quando si presenta qualche problema di salute lo stress viene spesso chiamato in causa, e questo succede anche se si parla di crescita fetale. In effetti, uno stress psichico cronico potrebbe indurre la futura mamma a non alimentarsi adeguatamente e determinare un ritardo di crescita fetale. Se invece si tratta di uno stress acuto – ad esempio in seguito a un evento particolarmente traumatico come un lutto – può provocare contrazioni uterine, che possono causare non un ritardo di crescita, ma eventualmente un parto prematuro.
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Fonte: http://www.dolceattesa.com/gravidanza/come-cresce-nel-pancione_genetica_salute-ed-esami_vita-prenatale/
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