È una piccola ghiandola situata alla base del collo e ha una funzione importantissima: regolare il metabolismo di tutto il corpo grazie alla produzione di due ormoni, la tiroxina (T4) e la tri-iodo-tironina (T3). Durante la gravidanza, il suo carico di lavoro aumenta perché deve far fronte anche alle necessità del feto. Le future mamme a rischio di sviluppare patologie della tiroide, quindi, devono essere monitorate con attenzione: tra le possibili conseguenze ci sono un aumentato rischio di aborto spontaneo e di parto prematuro. Negli ultimi anni la scienza ha fatto notevoli progressi in questo campo, tanto che l’American Thyroid Association (Ata) ha deciso di aggiornare le linee guida. Vediamo allora con l’aiuto di Andrea Lenzi, Direttore del Dipartimento di Fisiopatologia Medica ed Endocrinologia de La Sapienza Università di Roma e Presidente SIE (Società Italiana di Endocrinologia), come vanno affrontati i disturbi della tiroide in gravidanza e nel periodo dopo il parto, a fronte delle nuove conoscenze.
Quali possono essere i campanelli di allarme di un problema alla tiroide?
“A far pensare a un disturbo possono essere sintomi aspecifici, come stanchezza, stitichezza, irritabilità, palpitazioni e tremori”, spiega Andrea Lenzi. I malfunzionamenti possono essere di due tipi: la tiroide può produrre una quantità di ormoni troppo scarsa (ipotiroidismo) o eccessiva (ipertiroidismo).
“Nel primo caso, se il disturbo è grave, possono verificarsi anche un aumento di peso, un calo delle facoltà motorie e intellettive, un rallentamento del sistema cardiovascolare e un ispessimento della cute”, dice l’esperto.
“Nel secondo possono esserci, invece, un dimagrimento repentino, senso di agitazione, tremori, palpitazioni, battito cardiaco accelerato, vomito e diarrea, sensazione di caldo, sudorazione. In una fase avanzata della patologia, poi, può manifestarsi una particolare modificazione del viso (esoftalmo) caratterizzata da una retrazione delle palpebre”.
A che cosa può andare incontro la donna?
“Il malfunzionamento della tiroide può innanzitutto compromettere la fertilità. Per questo, una valutazione va fatta anche nel caso non si riesca a concepire un bambino”, spiega l’endocrinologo. “I disturbi tiroidei possono, inoltre, comportare alterazioni del ritmo mestruale e disturbi nell’ovulazione”.
Tiroide e fertilitàLeggi
Quali rischi corre il feto?
“Le possibili conseguenze dell’ipotiroidismo materno possono andare dal rischio di parto pretermine al basso peso alla nascita fino all’interruzione di gravidanza o alla grave compromissione dello sviluppo neurologico. L’ormone tiroideo, infatti, gioca un ruolo essenziale in questo contesto”, spiega l’esperto. “Nei casi lievi di ipertiroidismo (eventualità più rara in gravidanza), non si riscontrano significativi rischi per il nascituro. In quelli più gravi, possono invece presentarsi ritardo di crescita intrauterina, basso peso alla nascita e, in casi estremi, anche morte fetale intrauterina”.
Come cresce nel pancione?ScopriQuando e quali controlli fare, dunque?
“Gli esami vanno fatti preferibilmente in fase preconcezionale. “Dato che i sintomi sono spesso aspecifici (ad esempio la stanchezza), ed è quindi difficile accorgersi del problema, dovrebbero sottoporsi preventivamente agli esami le donne che presentano casi di patologie tiroidee in famiglia, quelle che hanno una storia di poliabortività, quante hanno una tiroidite in fase iniziale (che di solito non necessita di terapia) e quante sono già in cura per un disturbo della tiroide poiché a gravidanza avviata potrebbe essere necessario aumentare il dosaggio dei farmaci. “Per capire se c’è un malfunzionamento, è sufficiente effettuare il dosaggio del TSH, l’ormone tireo-stimolante prodotto dall’ipofisi (la ghiandola che controlla la tiroide). Se il valore è al di sopra dei parametri di riferimento significa che la tiroide lavora poco, se è al di sotto che lavora troppo. Possono essere utili, inoltre, il dosaggio dell’FT3 e dell’FT4 o degli anticorpi anti-tiroide”, spiega Andrea Lenzi.
Durante la gravidanza occorre ripetere gli esami?
“Se si è a rischio di sviluppare o peggiorare queste patologie è bene effettuare il dosaggio degli ormoni precocemente nel primo trimestre e ripeterlo ogni 4 settimane circa”, spiega l’endocrinologo. La gravidanza è, infatti, una condizione che merita attenzione: a causa della maggiore richiesta di ormoni tiroidei da parte dell’organismo, i disturbi possono comparire all’improvviso anche in chi non ne aveva sofferto prima. “Molti studi hanno evidenziato come la funzione tiroidea e gli ormoni circolanti si modifichino fisiologicamente nelle diverse fasi dell’attesa. Ben il 20% delle donne in gravidanza (contro una percentuale del 2-3% di donne in età fertile), manifesta un franco ipotiroidismo in questa fase della vita (che necessita di trattamento farmacologico)”, dice l’esperto.
A prestare attenzione devono essere, in particolare, le donne che prima dell’avvio della gravidanza presentavano anticorpi anti-tiroide positivi, poiché durante la gravidanza potrebbe rendersi necessario il trattamento farmacologico.
Quali sono le cure oggi disponibili?
“La terapia ormonale sostitutiva con levotiroxina è l’unico trattamento accettato contro le forme di ipotiroidismo, mentre contro gli ipertiroidismi sono indicati i farmaci ad azione tireostatica, cioè mirati a ridurre il funzionamento della tiroide”, spiega l’esperto.
La valutazione dello specialista è fondamentale: sarà lui a valutare l’opportunità di introdurre un nuovo farmaco o di modificare la posologia di quello già in uso”.
Che cosa succede dopo il parto?
“Dopo la nascita del bambino, in genere, la situazione migliora. È importante, quindi, ripetere i controlli a circa 6 settimane dal parto così da ridurre la dose di ormone tiroideo eventualmente somministrata in gravidanza”, spiega l’endocrinologo. “Un’attenzione particolare richiedono, però, le cosiddette tiroiditi post-partum che si manifestano nei primi 12 mesi con un’eccessiva quantità di ormoni tiroidei circolanti. Anche in questo caso, è necessario rivolgersi allo specialista per ottenere il trattamento più appropriato”.
È importante prestare attenzione anche al corretto apporto di iodio?
“Lo iodio è fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei”, spiega Andrea Lenzi. In condizioni normali, il giusto apporto può essere raggiunto anche solo attraverso la dieta: utilizzando sale iodato (senza abusarne) e mangiando alimenti che lo contengono (essenzialmente alghe e prodotti ittici). “In sua assenza, possono insorgere diversi problemi: la tiroide può inizialmente aumentare di dimensioni (gozzo) e successivamente produrre una quantità di ormoni insufficiente. Nel nostro Paese, la carenza iodica è un fattore endemico: secondo stime del Ministero della Salute, riguarda circa il 10% della popolazione. In gravidanza e in allattamento, in particolare, un adeguato introito è fondamentale per scongiurare eventuali danni al bambino. Su consiglio del proprio endocrinologo o del proprio ginecologo, quindi, può essere utile una supplementazione già a partire dal preconcepimento”.
IodioIn quali alimenti trovarlo
Michela Crippa
Fonte: http://www.dolceattesa.com/gravidanza/_salute-ed-esami/
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