31 ottobre 2016

Torna l’ora solare: i consigli degli esperti per arrecare meno disagi ai più piccoli

La differenza sarà “solo” di un’ora, ma per i bambini si tratta di una vera rivoluzione. Che, se gestita nel modo corretto, potrebbe portare dei vantaggi. Nella notte tra sabato 29 e domenica 30 ottobre le lancette dell’orologio si sono spostate di un’ora indietro per il ritorno dell’ora solare e la mattina si è potuti restare tra le coperte un’ora in più. Anche se non sarà mancato qualche disagio, l’importante è risintonizzare l’organismo sui ritmi biologici giusti. Per i bambini che vanno a letto tardi e che la mattina faticano a svegliarsi, può essere stata l’occasione per guadagnare un’ora di sonno in più.

L’insufficienza di ore di riposo tra i più piccoli è un problema sentito: secondo la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, in linea di massima fino a un anno di vita servono 14-18 ore di sonno fra il giorno e la notte, quando i piccoli vanno all’asilo si passa a 12-14 ore distribuite nelle 24 ore. Con la scuola elementare e poi alle medie il fabbisogno scende, ma resta comunque elevato: servono 10-12 ore di sonno, che scendono a 8-10 soltanto all’ingresso nella scuola superiore.

Purtroppo pochi rispettano questi parametri: secondo i dati di una recente indagine dell’Osservatorio nazionale Paidòss sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza, oltre un milione di bambini fra i 3 e i 14 anni soffre di una vera e propria forma di insonnia e nell’ultimo secolo i piccoli italiani hanno “perso” almeno un’ora di sonno, tanto che la maggioranza oggi dorme in media 40 minuti in meno del dovuto” ricorda un esperto del sonno, Luigi Innocenti di Astro Italia, azienda italiana per la vendita diretta del settore riposo.

Non sempre è facile anticipare l’ora di messa a letto, quindi il consiglio è di sfruttare il passaggio a proprio favore per cambiare alcune cattive abitudini: per facilitare il passaggio si consiglia di cenare almeno dieci minuti prima rispetto all’orario abituale, così da riuscire ad anticipare gli orari e anche la messa a letto – prosegue Innocenti -. È bene mantenere costante la routine prima di dormire, andando a letto e svegliandosi più o meno sempre negli stessi orari. La cena deve terminare almeno un paio d’ore prima di addormentarsi e la camera deve essere confortevole: evitare di riscaldare troppo la stanza, no ai rumori o alla luce. Bisogna evitare esercizio fisico troppo intenso alla sera, facendoli rilassare prima del sonno. Per questo si consiglia di spegnere computer, tablet o televisione almeno un’ora prima di andare a letto. Importante eliminare gli apparecchi elettronici: via dalla camera televisione, computer, tablet o cellulari per evitare che ne facciano uso durante la notte”.

Fondamentale è anche il supporto su cui si dorme, un aspetto che troppo spesso viene trascurato, in particolare tra i più piccoli. “Spesso non si presta la giusta attenzione al materasso, soprattutto tra i bambini, ed è un errore – ricorda Innocenti -. Un buon materasso deve adattarsi al profilo naturale della colonna vertebrale e garantire una postura corretta, per prevenire fastidi al collo e alla schiena che ci costringono a rigirarci di continuo, impedendoci di avere un sonno profondo e riposante. Solo così godremo di un sonno davvero ristoratore, che ci darà una marcia in più per passare indenni anche il piccolo jet lag del cambio d’ora”.

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Primi sbalzi di temperatura autunnali… prime febbri! Cosa fare in caso di febbre in età pediatrica?

Con l’arrivo dell’autunno e il generale calo delle temperature, in particolare di quelle minime, si abbassano anche le difese immunitarie dei bambini, soprattutto di quelli molto piccoli, e si diffondono le prime forme d’infezioni virali e batteriche.
La febbre è il sintomo più comune di malattia nei bambini ed è uno dei motivi principali per cui i genitori chiedono una visita pediatrica. Vediamo quindi cosa dicono in proposito le Linee Guida della Società Italiana di Pediatria sulla gestione della febbre nei bambini.

Che cos’è la febbre?
La febbre è un aumento della temperatura corporea sopra i limiti di normalità. Secondo l’OMS, la temperatura si considera normale fino a 37,5°, ma bisogna tenere conto del fatto che questo valore può variare da persona a persona, durante l’arco della giornata e in base alle circostanze; ad esempio aumenta durante il sonno, subito dopo i pasti, dopo uno sforzo o in caso di riscaldamento eccessivo dell’ambiente. La febbre è il sintomo più comune della maggior parte delle infezioni ed è utilizzato dall’organismo come strumento di difesa. L’organismo infatti, innalzando la sua temperatura, rende l’ambiente inospitale per la vita di virus e batteri.

Come deve essere misurata la temperatura corporea dei bambini?
L’apparecchio migliore è il termometro a infrarossi, l’unico che garantisce una precisione medica. Questi termometri, da molti anni in uso nei reparti di pediatria, oggi hanno costi più contenuti e iniziano a diffondersi anche per uso domestico. Ne esistono diversi modelli, che si mettono a contatto con la pelle o sono dotati di un puntatore che permette l’uso a distanza. Alcuni possono essere addirittura collegati allo smartphone o al tablet e, grazie ad una speciale app, registrare tutti i dati delle rilevazioni consentendo di monitorare lo stato di salute del bambino e la somministrazione dei farmaci, oltre a condividere le informazioni con tutti i membri della famiglia e il pediatra.
Vanno molto bene anche i termometri elettronici digitali, perché facili da usare, economici e affidabili.  Sconsigliati invece termometri a mercurio, perché i metalli in essi contenuti sono pericolosi per il bambino e per l’ambiente.

Dove si deve misurare la temperatura?
Il posto migliore dove misurare la temperatura se si utilizza un termometro digitale è sotto l’ascella. Se si possiede un termometro a infrarossi, il puntatore va avvicinato alla fronte o alla tempia, sconsigliato invece il timpano dell’orecchio perché può registrare valori alterati. Sconsigliata anche la misurazione sotto la lingua, perché può essere influenzata da numerosi fattori, come l’assunzione di cibi caldi o freddi, e perché richiede la collaborazione del bambino.
Sconsigliata anche la misurazione rettale, almeno fino al 5° anno di età, perché troppo invasiva e disagevole per il bambino, inoltre è potenzialmente dannosa perché può procurare lesioni e trasferire batteri da soggetto a soggetto.

Precauzioni particolari per i neonati e lattanti
Se il bambino ha meno di 28 giorni di vita, le Linee Guida raccomandano che il neonato febbrile venga portato subito in ospedale per un controllo.
Se invece si tratta di lattante – dalle 4 settimane compiute fino al compimento del dodicesimo mese di età – è necessario farlo visitare in giornata dal pediatra, poiché è una fascia d’età in cui il rischio di infezione batterica grave è pari a circa il 10%. In ogni caso è bene rivolgersi rapidamente al pediatra se il lattante piange in maniera inconsolabile, rifiuta completamente il cibo o assume un comportamento non abituale.

E’ consigliato fare spugnature fredde o bagni tiepidi per ridurre la temperatura corporea del bambino?
Le Linee Guida sconsigliano tutti i vari espedienti “della nonna” per abbassare la febbre, come spugnature fredde, bagni tiepidi, borse del ghiaccio o frizione della cute con alcool.
La febbre è un innalzamento della temperatura corporea comandato a livello centrale dal cervello, pertanto non si può modificare raffreddando la periferia. Il raffreddamento periferico porta solo a un inutile dispendio di energia del bambino, in un momento in cui è già molto stressato.

Quando bisogna usare farmaci antipiretici per abbassare la febbre?
La febbre, come abbiamo detto, è un meccanismo di difesa agli agenti infettivi, quindi non andrebbe abbassata sempre e comunque. L’uso di farmaci antipiretici è previsto solo se la febbre si accompagna a segni di malessere generale. Le linee guida smontano la teoria secondo la quale la febbre deve essere abbassata sempre e comunque se supera i 38,5°.  Paracetamolo ed ibuprofene sono gli unici antipiretici raccomandati in età pediatrica. In ogni caso, prima di somministrare antipiretici al vostro bambino e per qualsiasi dubbio, rivolgetevi sempre al pediatra.

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28 ottobre 2016

L’emorragia post partum si può prevenire

È un evento raro, ma la sua incidenza può essere ulteriormente ridotta, grazie a una maggiore attenzione da parte del personale sanitario e a una migliore informazione delle donne sui fattori di rischio. È con questo obiettivo che lo scorso 24 ottobre 2016 l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato le prime Linee Guida nazionali per la prevenzione e il trattamento della emorragia post partum, una grave complicanza che ogni anno in Italia toglie la vita a circa 21 donne.

Il documento, redatto sulla base di una rigorosa analisi della letteratura scientifica, è corredato da un a parte informativa indirizzata alle future mamme, perché loro per prime possono ridurre il rischio, prendendosi cura consapevolmente della propria salute.

 

Che cos’è e perché succede

Ma come si manifesta esattamente l’emorragia post partum? Subito dopo la nascita, una perdita di sangue è del tutto fisiologica: il distacco della placenta provoca infatti il sanguinamento della parete dell’utero. “Poco dopo, l’utero si contrae, chiude i vasi recisi e blocca l’emorragia”, spiega Giuseppe Battagliarin, ginecologo di Rimini, relatore al recente convegno organizzato sul tema dall’associazione scientifica Andria. “La perdita di sangue non si arresta del tutto, ma prosegue nei giorni successivi, scemando gradualmente. Può accadere, però, che la placenta non venga espulsa interamente, che alcuni frammenti di tessuto rimangano nell’utero, oppure che il tessuto muscolare uterino non si contragga come dovrebbe dopo il parto. È possibile che durante la fase espulsiva si producano delle lacerazioni dei genitali, oppure che si verifichi un distacco della placenta nel travaglio. In questi casi, la perdita di sangue è superiore a quella fisiologica. Se supera i 500 ml nelle prime 24 ore dopo la nascita si parla di emorragia post partum. Nelle situazioni più gravi la perdita può andare oltre i 1000 ml”.

Nel 96-97% dei casi in cui si verifica, questa eventualità si presenta nelle due ore successive al parto. Ed è importante che entro questo intervallo di tempo la neomamma venga tenuta sotto osservazione. “L’ostetrica deve valutare periodicamente l’entità del sanguinamento, controllare che l’utero sia contratto appoggiando una mano sull’addome e misurare battito e pressione sanguigna per rilevare tempestivamente eventuali anomalie”, dice il ginecologo. “Inoltre, è raccomandabile che nel momento in cui fuoriescono le spalle del nascituro a tutte le partorienti venga somministrata una dose di farmaco uterotonico, come l’ossitocina, per favorire la successiva contrazione dell’utero e l’arresto della perdita ematica”.

 

Quali sono i fattori di rischio

Alcuni elementi, in parte prevenibili, aumentano la probabilità di andare incontro a un’emorragia ostetrica. Ne deve tener conto il personale sanitario che assiste la donna durante la gravidanza e il parto e ne deve tener conto la donna stessa.

“L’informazione e la consapevolezza sono strumenti fondamentali per ridurre il rischio”, osserva Silvia Vaccari, vicepresidente della Federazione Nazionale dei Collegi delle Ostetriche. “Per esempio, è importante si sappia che l’obesità materna, l’ipertensione arteriosa, disordini emorragici, aver avuto più figli e patologie legate alla gravidanza sono fattori predisponenti all’emorragia post partum. Adottare un’alimentazione equilibrata, uno stile di vita sano e arrivare in buona forma fisica alla gravidanza riduce invece il rischio”.

Anche l’anemia predispone all’emorragia ostetrica. “Tante donne arrivano al concepimento con una riserva di ferro inadeguata, perché la loro alimentazione non è equilibrata, oppure perché hanno mestruazioni abbondanti”, spiega la ginecologa Irene Cetin, presidente della Società Italiana di Medicina Perinatale. “In gravidanza la situazione peggiora, perché si somma alla condizione di anemia parafisiologica comune a tutte le mamme in attesa. Ne può conseguire un’ossigenazione inadeguata dell’utero e una riduzione della sua capacità di contrarsi efficacemente. Inoltre, per una donna che soffre di anemia una perdita di sangue è ancor più pericolosa”.

 

Le strategie di prevenzione

Che fare, dunque? “Adottare un’alimentazione ricca di ferro, acido folico e vitamina B12 e, se il medico curante lo ritiene opportuno, integrare con un supplemento durante la gravidanza”, risponde Cetin.
Attenzione, poi, ai difetti della coagulazione del sangue. “Talvolta c’è un problema di questo tipo che non è stato diagnosticato”, avverte Battagliarin. “Precedenti emorragie, episodi anomali di sanguinamento in gravidanza, o anche prima, meritano un approfondimento”.
Se in passato la donna ha sofferto di emorragia post partum non vuol dire che la storia si ripeterà. “Ma è necessario seguirla con maggiore attenzione”, osserva Silvia Vaccari. “Il rischio non è un parametro statico, che si misura una volta per tutte, ma va continuamente aggiornato e dipende dall’andamento della gravidanza e da diverse variabili: l’impianto della placenta, le dimensioni del nascituro, l’eventuale induzione del travaglio e le modalità dell’induzione, la durata del travaglio e della fase espulsiva, il ricorso alla ventosa, un’eventuale episiotomia, il cesareo.
In quanto al cesareo, va detto che un precedente parto con il bisturi non comporta un maggior rischio di emorragia post partum se la nascita successiva avviene per via vaginale (il cosiddetto VBAC, vaginal birth after cesarean”.

 

Dopo le dimissioni, i segnali da tenere d’occhio

È altamente improbabile che un’emorragia si verifichi a più di 24 ore dal parto e la letteratura medica non riporta casi accaduti dopo le dimissioni della neomamma. “Ciò nonostante, nei giorni successivi la puerpera deve fare attenzione ai segnali del suo corpo: se nel corso del tempo le perdite non tendono a ridursi, se assumono un odore strano, in presenza di fastidio o di febbre occorre rivolgersi subito al ginecologo”, avverte Battagliarin.
Se dopo il parto c’è stata un’emorragia, la neomamma viene dimessa solo quando il problema è risolto, con la somministrazione di farmaci uterotonici o, nei casi più gravi, per via chirurgica. “In ospedale le viene trasfuso del sangue per reintegrare quello perduto, ma nelle settimane successive si trova ovviamente in una condizione di anemia che deve essere affrontata con un’alimentazione adeguata e somministrando integratori di ferro”, dice Irene Cetin.
Un aspetto non meno importante di cui tener conto è poi quello psicologico. “Un evento simile ha un forte impatto sulla psiche di una persona”, osserva Silvia Vaccari. “Prima delle dimissioni, sarebbe opportuno offrire alla neomamma un supporto psicologico che la aiuti ad elaborare il suo vissuto. In alcuni ospedali è previsto. È un passo necessario nell’ottica della prevenzione della depressione post partum”.

 

Maria Cristina Valsecchi

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Come scrive il sognatore?

“Sognatore” è un termine che va assumendo sempre più una valenza negativa, perché sono il pragmatismo e la praticità le caratteristiche che vengono premiate.

Lo dicono i genitori al figlio che vorrebbe uscire dai canoni precostituiti, la ragazza al fidanzato che lascia un lavoro che non lo gratifica, per inseguire un suo progetto, certamente più incerto, ma più stimolante.

Ma come scrive il sognatore? Ce lo spiega la nostra grafologa Candida Livatino:

liva“Con la testa tra le nuvole e molto romantico, il sognatore ha la scrittura decisamente arrotondata, tipica di chi mantiene ancora un lato fanciullesco.

Nella sua grafia le asole superiori sono gonfie, come nella “l” e nella “f”.

E’ un segno grafologico che evidenzia una componente razionale in chi scrive, ma anche la capacità di volare con la fantasia, di evadere dalla quotidianità.

Lo conferma anche il prolungamento verso l’alto dell’astina finale della “a”, della “e” e della “i”.

In amore è una persona che si entusiasma facilmente, che si accende e fa grandi progetti. Fa però  fatica a metterli in pratica.

Gli manca la capacità di concretizzare quello che ha in testa, anche se all’inizio è pieno di buona volontà.

Gli insuccessi precedenti però non lo frenano nel buttarsi in nuovi progetti, che abbraccia con immutato entusiasmo.

E’ proprio questa la caratteristica che dovrebbe destare negli altri simpatia  anziché riprovazione .

Candida Livatino”

 

COP Livatino Scrivere con il cuore.inddSe volete conoscere cosa dice la grafologia sulle affinità di coppia, o scoprire se il vostro partner è fedele, sincero, vanitoso o geloso, se è più portato per i rapporti duraturi o per le avventure,  e tanto altro ancora, vi ricordo che Candida Livatino ha scritto il terzo libro proprio su questo tema: “Scrivere con il cuore” editore: Sperling & Kupfer.

Candida Livatino ha anche un sito Internet in cui racconta tutte le sue esperienze lavorative e tanto altro ancora.

L’indirizzo :
www.livatinocandida.it



Fonte: http://vivalamamma.tgcom24.it/2016/10/come-scrive-il-sognatore/

27 ottobre 2016

Che mi metto per andare a scuola?

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Voi pensate che con una figlia femmina io sia avvantaggiata sul fronte abbigliamento?

In parte forse, la gamma è vasta e rispetto a quella maschile di sicuro noi mamme di bambine possiamo sbizzarrirci. Ad esempio, se vi capita date una occhiata alla sezione “Tutti a scuola” ideata da Zalando dove si possono trovare diverse soluzioni per tutti i gusti e in particolare le esigenze, in cui si sposano moda e comodità.

Ma come in ogni medaglia c’è il suo rovescio, quello che una figlia femmina ti spinge ai confini di un esaurimento nervoso per scegliere cosa mettersi (è nel Dna iniziare fin da tenera età, questione di natura).

Prendiamo la mattina prima di andare a scuola. Tu sei con una quantità minima di tempo che nemmeno nei film in cui un artificiere deve disinnescare una bomba chiedendosi se sia il filo blu o quello rosso da tagliare.

E lei, la tua bambina così carina, che subisce una metamorfosi diabolica in cui da tenera pre adoloscente sembra essersi trasformata in un incrocio tra Anna Wintour e Karl Lageferld. La quintessenza della nevrosi da scelta outfit, insomma.

“Amore, con i leggins modello jeans starai comoda”

“ma io non li voglio mettere”

“e che cosa hanno di diverso da quelli che metti di solito? Anche questi sono aderenti come li vuoi tu”

“sì, ma questi non mi piacciono”

“ma se li mettevi fino all’anno scorso!”

“e adesso non li voglio più”

“allora vuoi i jeans classici?”

“no”

“la gonna?”

“no”

“un sacco di juta?”

“eh?”

“niente…”

Alla fine ripiega con look pieni di fronzoli che stanno alla comodità come una ciabatta da mare a un gran galà.

Ho iniziato a pregare san Zalando, dunque, che mi offre una boa di salvataggio non indifferente e mi mette a disposizione una gamma ampia di abiti e accessori per bambini su Zalando dagli stili diversi e delle marche più in voga.

E chissà che la mini “diavolo veste Prada” non si trasformi in “angelo veste comodi outfit”, una volta per tutte!

 

– Post sponsorizzato –

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26 ottobre 2016

Bimbi in sovrappeso? È “colpa delle mamme che lavorano”!

Secondo una ricerca dell’economista Wencke Gwodzd (nella foto) della Copenhagen Business School, il fatto che in una famiglia lavorino entrambi i genitori, determinerebbe un aumento di bambini extralarge. Una brutta tegola sul capo dei genitori, dunque, e in particolare su quello delle mamme.

Wencke-Gwodzd-economista

La ricerca ha preso in considerazione vari studi inerenti madri lavoratrici e obesità infantile, scoprendo esplicite relazioni tra questi due elementi in molti Paesi.

In sostanza, se oltre al papà anche la mamma lavora, è più facile che il bimbo venga su in sovrappeso. E la relazione, spiega la ricercatrice, è risultata più forte nel caso dei bambini tra 5 e 10 anni, più grandicelli e quindi autonomi nella scelta di cosa mangiare.

Inoltre, scrive il ‘Mirror‘, in assenza delle mamme i figli tendono a prediligere attività più sedentarie e a dormire meno rispetto ai coetanei con madri casalinghe. E anche la carenza di sonno è stata messa in relazione all’aumento di peso.

Ma ad attenuare la responsabilità delle mamme c’è il fatto che, quando la famiglia è supportata nella cura dei figli, il peso dei piccoli ne risente positivamente.

Probabilmente, quindi, un maggior sostegno per i genitori che lavorano potrebbe aiutare a contrastare la imperversante diffusione dell’obesità.

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Così sono uscita dalla depressione post partum

A volte penso che se non ci fosse stato mio marito che insisteva per tirarmi giù dal letto, io non so che fine avrei fatto. L’unico desiderio era quello di stare in un mondo liquido, senza odore né sapore, indolore, soffice e perenne. Volevo solo dormire; la luce non doveva entrare dalle finestre, perché se la stanza ne fosse stata inondata sarebbe significato che ero viva. E io in quei mesi terribili non sapevo se volevo esserlo.

Che cosa mi aveva ridotto in quello stato? Il fatto di essere diventata madre. E pensare che avevo desiderato tanto esserlo! Ci sono riuscita anche al primo tentativo, senza dover percorrere il calvario che in tante provano. Prima di rimanere incinta scorrevo alcuni interventi su vari forum legati alla maternità e leggevo storie di sofferenza. Donne che calcolavano quando avere rapporti, che contavano i giorni di ritardo sperando di ‘aver beccato la cicogna’ o che elencavano i possibili sintomi di una gravidanza per poi scoprire, qualche giorno dopo, di essersi illuse. Avere un bambino non era più una gioia: era un lavoro, un calcolo preciso, una lotta contro il tempo. Un’ossessione.

Io, invece, ci sono riuscita subito. Non ho sperimentato la fatica e neanche la gioia: semplicemente ce l’avevo fatta. Non l’ho detto subito ai miei genitori perché mi sentivo ‘sporca’: avevamo concepito un figlio senza avere una sicurezza lavorativa e per loro senza un futuro certo. “Potevate aspettare”, sono state le loro prime parole. E io – che avevo ricercato per tutta la vita la loro approvazione nonostante avessi già 30 anni – non riuscivo a dire “chissenefrega” e in cuor mio pensavo che avessero ragione. Che futuro avrei potuto dare alla mia creatura?

Pensieri fastidiosi

I mesi passavano, la pancia cresceva e per me non era poi un problema. Facevo la mia vita di prima, lavoravo, vedevo gli amici. Ogni tanto mi sentivo minacciata da qualche pensiero che puntualmente scacciavo via con la mano, come si mandano via delle mosche fastidiose. “Sarò una brava mamma?”, mi chiedevo. “E se non sono capace?”. Poi, puntualmente, mi tranquillizzavo dicendomi che ci erano passate tutte prima di me e che io avevo le risorse per farcela.

Eppure, più si avvicinava la data del parto, più mi sentivo inquieta. Non lo davo a vedere, perché tutti mi coccolavano: essere continuamente al centro dell’attenzione mi faceva sentire una dea. Non volevo che tutto finisse perché sapevo che, una volta partorito, il “come stai?” sarebbe diventato “come sta la bambina?”.

La delusione del parto

Il parto di mia figlia Paola è stato il momento più brutto della mia vita. L’avevo immaginato, idealizzato, mi ero figurata con una potenza indescrivibile. Credevo che non avrei chiesto l’epidurale, perché mi ritenevo forte a sufficienza per poter controllare tutto. E invece ogni cosa è andata storta: nonostante quindici ore di travaglio il mio corpo, stanco ed esausto, non si è dilatato abbastanza per fare un parto naturale. Così sono stata sottoposta a un cesareo d’urgenza con anestesia totale. Quando mi sono svegliata ero solo gonfia e sfatta, con la pancia molle e il catetere. La bimba era nata, io non l’avevo vista e volevo solo che quella giornata di primavera finisse in fretta.

 

Tutto sul cesareoLeggi

Una piccola sconosciuta

Il primo ricordo che ho della mia nuova vita da mamma è l’orologio che segnava le 19.40. Quando finalmente ho potuto vedere la mia bambina – che vestita con una tutina bianca dormiva beatamente nella sua piccola culla – non ho sentito niente. Né un grande amore, né un’infinita felicità. Nulla di nulla.

Non potevo essere diventata così, in quel modo, nessuno mi aveva avvertita. Il mio unico desiderio era quello di riposare, mentre a tutte le ostetriche e puericultrici intorno a me sembrava importare solo che attaccassi la bimba al seno. E quando ho provato a dire che ero stanca e che volevo dormire, mi hanno risposto che non potevano mandare Paola al nido, perché “se piange poi dobbiamo riportarla indietro”. Così ho passato la prima notte da mamma con una bimba sconosciuta nel letto, con la paura di farle del male e al tempo stesso inerme per il dolore dei punti.

A questo si è poi aggiunto che l’allattamento non è partito. La bambina non voleva saperne di attaccarsi e ho provato di tutto: con il paracapezzolo, senza paracapezzolo… C’era chi mi diceva che il mio seno era perfetto per allattare e chi, invece, sosteneva che non ci sarei mai riuscita. Così una sera sono crollata: ho avuto una crisi di pianto inarrestabile, mi sentivo non ascoltata, non capita, non accolta nel mio nuovo ruolo. Finché ho detto: “Io a questa bambina non voglio bene, questa bambina non la voglio”.

Qualcosa che si rompe dentro

Pensavo che sarebbe andata meglio una volta tornata a casa, in fondo il babyblues è una fase che attraversano molte neomamme. Eppure sentivo che qualcosa si era rotto dentro di me, anche se non sapevo che cosa. I giorni passavano, ma io non riuscivo ad essere coinvolta emotivamente: accudivo mia figlia, la curavo, la cambiavo, eppure ero un automa. Le mie azioni nel presente e la mia mente in un altrove. Non stavo bene, ma speravo che comunque ogni cosa si sarebbe aggiustata.

Invece a inizio estate – a circa 3 mesi dalla nascita di Paola – ho avuto di nuovo un crollo: ho capito di avere bisogno di aiuto. Per fortuna mio marito mi è sempre stato vicino e invece di colpevolizzarmi, di dirmi che dovevo rimboccarmi le maniche e che non dovevo lamentarmi perché nessuno ci aveva obbligato a diventare genitori, mi ha semplicemente risposto: “Va bene”.

Depressione post partumCosa sapere

L’inizio della terapia

Così sono entrata in terapia. Su internet ho cercato qualcuno che potesse aiutarmi e ho scoperto che all’ospedale Niguarda di Milano c’è uno sportello dedicato alle donne con la depressione post partum. Perché io soffrivo di questa malattia, ormai ne ero certa, anche se non avevo una diagnosi. Così quando Paola aveva 5 mesi ho iniziato il mio percorso con la terapeuta che mi ha cambiato la vita, Mara. Ho capito che c’erano dei nodi che mi portavo dietro da tanto tempo e che poi sono esplosi con la maternità: la mia scarsa autostima, per esempio, il fatto di non essere in grado di occuparmi di mia figlia nel migliore dei modi. E poi il rapporto con la mia famiglia d’origine, che mi ha sempre trattato da bambina anche quando bimba non lo ero più da tanto tempo. Mi sono nascosta per tanto tempo, cercando continuamente l’approvazione di chi mi voleva bene, perché se fossi stata all’altezza ai loro occhi allora sarei stata una persona migliore. Mi sono sempre messa da parte perché non volevo offendere i miei genitori dicendo il mio pensiero. E così loro si sono convinti che dicendo sempre sì, dessi loro sempre ragione, anche quando non ero d’accordo.

Poco per volta ho trovato il coraggio di prendermi cura di me stessa e piano piano sono guarita. E infatti a due anni esatti dalla nascita di Paola è arrivata anche Vittoria: il nome ovviamente non è stato scelto a caso.

Un sito per aiutare le mamme

Nel frattempo, per aiutare le mamme che come me si sono sentite molto sole e giudicate perché non vivevano felicemente il fatto di aver avuto un figlio, ho aperto un sito che si chiama www.post-partum.it in cui racconto non solo la mia esperienza, ma anche quella di altre donne e di operatori sanitari che si occupano delle madri in difficoltà. Perché bisogna imparare a essere più sincere, coinvolgere di più i papà e soprattutto capire che può capitare. E che non c’è niente di sbagliato: andare in terapia mi ha restituito Paola, una bimba che non ho vissuto da subito e che mi è stata restituita dopo che quella ladra della depressione mi aveva rubato la gioia di stare con lei.

 

Valentina Colmi

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3 outfit in 1 | La Collezione MAXI ME by Sweet As A Candy

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Quante volte mi sono ritrovata a guardare con occhi sognanti i meravigliosi abitini de Il Gufo pensando a quanto ne avrei voluto uno uguale anche per me. Sono certa che anche a voi è capitata spesso la stessa cosa. Quando gli abiti sono così belli è normale sognare di avere lo stesso vestito della propria bambina non trovate?
Finalmente è arrivata la capsule collection che in tante aspettavamo, dedicata a tutte le mamme che vogliono vestirsi come le proprie bambine: la collezione “MAXI ME.

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Quale miglior occasione per sfoggiare i nostri look Maxi Me se non la festa di compleanno di Ginevra e Greta?
Le mie bimbe hanno da poco compiuto 2 anni e dopo la festa in famiglia abbiamo festeggiato anche con gli amici più cari.
Io mi sono divertita moltissimo ad indossare questo splendido abito in tecnowool a quadri bianchi e neri ed anche le mie bimbe hanno sorriso felici nel vedermi vestita come loro.

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Questo abito è perfetto per me, la sua forma a trapezio e il retro leggermente più lungo gli regalano una vestibilità e comodità estrema.  E’ bello indossato sia con una scarpa più elegante sia con una sneaker.

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Lo potete acquistare cliccando QUI ; QUI potete invece trovare lo stesso abito ma nella misura bimba, un amore!

Non siete già innamorate anche voi della collezione MAXI ME??

Fotografie di Veronica Zanetti – Avoriophoto 

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25 ottobre 2016

Social freezing: una via per preservare la fertilità

La crioconservazione degli ovociti, o social freezing, può essere considerata la nuova frontiera della fecondazione. Tante donne, oggi, per impossibilità o per scelta si trovano a posticipare il progetto di un figlio: da chi deve fare un intervento che può incidere sulla fertilità a chi ha la necessità di sottoporsi a chemioterapia per tumore, dalle donne che contano casi di menopausa precoce in famiglia, fino a chi attende di trovarsi nelle condizioni giuste, dal punto di vista economico e affettivo, per pensare a una famiglia.
Il rischio, però, rimandando troppo, è di vedersi costrette a rinunciare alla gravidanza a causa dell’età avanzata e del calo della fertilità. Una possibilità che può essere presa in considerazione quando il proprio planning di vita non contempla l’idea di una maternità per lungo tempo può essere, allora, quella del social freezing. Ecco di che cosa si tratta.

Che cos’è il social freezing?

Il social freezing consiste nella crioconservazione dei gameti femminili: l’obiettivo è avere maggiori probabilità di concepire in futuro ricorrendo alle procedure di procreazione medicalmente assistita, qualora non si riuscisse ad avviare una gravidanza spontaneamente.
“Il punto è che fino ai 35 anni circa, è generalmente facile per le donne concepire, mentre dopo i 40 le probabilità calano drammaticamente anche ricorrendo alle tecniche di fecondazione assistita. L’aiuto medico, quindi, è relativamente efficace solo fino a quest’età barriera”, dice Alessandra Vucetich, membro del consiglio direttivo dell’Associazione PRO-FERT, Società italiana di conservazione della fertilità e dell’Associazione Cecos.
“È importante che le donne siano consapevoli di questo. È ovvio che è meglio concepire in modo naturale da giovani. Ma se il programma di vita non prevede una maternità per lungo tempo, mettere in sicurezza i propri ovociti può essere una buona strategia”.

 

Come capire se vale la pena ricorrervi?

“In base ai dati dell’Instituto Valenciano de Infertilidad (IVI), occorre tener presente 3 importanti marcatori: la riserva ovarica (che può variare da donna a donna), la capacità degli ovociti di essere funzionali con il decongelamento e la percentuale di gravidanze che arrivano al termine (due markers che dipendono dallo stato dell’arte delle tecnologie)”, spiega l’esperta.
“L’età della donna influenza tutti questi marcatori perché col passare degli anni la qualità degli ovociti peggiora. Questo significa che per avere le stesse possibilità di concepimento servirà un numero maggiore di gameti femminili”. Quali sono le probabilità di successo? “Fino ai 36 anni, raccogliendo 8-10 ovociti, si avranno il 40-60% di possibilità di portare a termine la gravidanza in futuro. Dopo i 36 anni, invece, congelando lo stesso numero di cellule uovo, si avrà una percentuale del 20-30%. L’età limite per decongelare gli ovociti si può collocare intorno ai 45 anni”, dice l’esperta. “Il fisico di una donna, infatti, A questa età è ancora in grado di portare avanti bene la gravidanza”. C’è un ultimo elemento, poi, che va considerato. “Dopo i 36-38 anni, è più difficile raccogliere con una sola stimolazione ovarica (operazione necessaria per conservare i propri ovociti) la giusta quantità di ovociti. Potrebbero, quindi, servire più stimolazioni”, dice Alessandra Vucetich.

“Congelare un numero adeguato di ovociti è fondamentale per un esito soddisfacente dell’operazione in quanto non tutti sopravvivono e non tutti si fecondano”, sottolinea Andrea Borini, direttore e responsabile clinico e scientifico di Tecnobios Procreazione, e presidente SIFES (Società Italiana di Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione). “Non è detto, poi, che alla fine ci sia bisogno di ricorrere alla fecondazione assistita. Questa via rappresenta una possibilità solo nel caso non si riesca a concepire spontaneamente”.

Quali possono essere gli effetti collaterali?

“Eventuali sintomi possono essere legati alla stimolazione ovarica, ma con i farmaci oggi a disposizione sono praticamente nulli. La sindrome da iperstimolazione ovarica (condizione in cui l’ovaio iperstimolato si gonfia e può dare dolore addominale), in particolare, sta diventando sempre più rara”, dice Alessandra Vucetich. “Inoltre, moltissimi lavori pubblicati da studiosi del Nord-America, Nord Europa e Israele hanno dimostrato che non esiste alcun rischio aumentato di insorgenza dei tumori (né al seno, né dell’ovaio, né dell’utero). La raccolta dei dati, però, vista l’importanza dell’argomento, sta continuando”.

Quanto costa?

“In Italia, il social freezing non è finanziato dal Servizio Sanitario Nazionale. Le donne che vogliono congelare i propri ovociti, quindi, devono rivolgersi a un centro privato e pagare i farmaci per la stimolazione ovarica”, dice Andrea Borini.
Il costo dell’operazione va dai 2 ai 3 mila euro, cui si aggiungono circa 200-300 euro per il deposito annuo. “Per le donne che devono sottoporsi a cicli di chemioterapia (che mettono in pericolo la fertilità), invece, l’SSN copre le spese”.

A chi rivolgersi?

Sul sito dell’Associazione PRO-FERT è possibile trovare una lista dei centri che effettuano la crioconservazione (http://profert.org/i-centri-di-crioconservazione/)

 

Michela Crippa

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Per misurare il proprio desiderio di avere un bambino

A fronte di un ritardo delle mestruazioni vai a comperare un test di gravidanza in farmacia, sperando in cuor tuo che sia positivo.  Essere rimasta incinta “per caso” ti solleverebbe da un bel peso.

Sei d’accordo:
Sì   Abbastanza  NO

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Gli Inseparabili Friskies: riempiamo una ciotola

Se mi seguite, certamente saprete che in agosto la nostra famiglia si è allargata. E se non lo sapete, vi invito a leggere la storia a questo link Una sorpresa di nome Wanda. Wanda è con noi da tre...


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24 ottobre 2016

Più rispetto in sala parto!

Anna è un’ostetrica di lunga esperienza e ha le idee chiare su quello che le donne devono fare e su come devono farlo: a modo suo, non a modo loro. Non si impietosisce di fronte ai lamenti e non ha tempo da perdere per aspettare i loro comodi.

“Una voleva stare in piedi e non c’era verso di metterla giù”, racconta. “Ho dovuto disturbare il dottore. E lui glielo ha detto: su, adesso faccia la brava, si metta giù e apra bene le gambe. Certo, le urla si sono sentite fino in radiologia, ma con un paio di belle spinte sulla pancia che ha dato il dottore e un taglio fatto bene, in pochi minuti il bambino era fuori. Altro che parto in piedi!”.

Nel profondo del cuore di Anna, però, c’è la frattura creata da un dubbio: che esista un altro modo per dare alla luce un bimbo, un modo più dolce, più umano e rispettoso dei tempi e della libertà della madre, che il parto non debba essere necessariamente dolore, pericolo, paura, fretta, bensì un evento fisiologico.

 

L’ostetrica, il mestiere più antico del mondo

Anna è la protagonista e voce narrante di un racconto scritto due anni e mezzo fa da Gabriella Pacini, ostetrica di Roma, per denunciare situazioni che incontrava ogni giorno nel suo lavoro. “Tutto quello che Anna racconta, io l’ho vissuto in prima persona. Tutti i dialoghi sono veri, parola per parola”, dice l’autrice, che ha pubblicato il testo in formato ebook col titolo “Il mestiere più antico del mondo” (2015, Feltrinelli, collana ZOOM Flash) con lo pseudonimo di Gianlorenzo Pacini. “A quell’epoca, appena un paio di anni fa non si parlava di violenza ostetrica e la consapevolezza sull’argomento era pressoché nulla. L’idea di raccontare queste storie apertamente, a mio nome, mi metteva a disagio. Per questo ho fatto ricorso allo pseudonimo”.
Oggi, però, Gabriella Pacini è uscita allo scoperto e il suo racconto è diventato uno spettacolo teatrale con lo stesso titolo (https://www.facebook.com/ilmestierepiuanticodelmondoILPARTO), un lungo monologo recitato da Laura Nardi, con la regia di Amandio Pinheiro.

Uno spettacolo itinerante

“Ho conosciuto Laura Nardi perché ho assistito alla nascita dei suoi bambini”, dice l’ostetrica. “Ha letto il mio libro e ha trovato che fosse adatto per rappresentarlo a teatro, perché è un racconto in prima persona e la narrazione ha un ritmo serrato”.
L’attrice si muove da sola sul palcoscenico, con l’unico ausilio di una sedia, evocando gli ambienti e gli altri personaggi con la forza delle parole.
“Stiamo portando lo spettacolo in giro, dovunque ce lo chiedano”, spiega Pacini. “Alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, nelle sedi di circoli e associazioni. Vorremmo portarlo nelle università, per far riflettere gli studenti di medicina e di ostetricia”.
La violenza ostetrica denunciata da Gabriella Pacini con il suo racconto è un fenomeno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha descritto in una storica dichiarazione del 2014, dal titolo “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere”,  lo stesso fenomeno denunciato dalle madri alcuni mesi fa attraverso la campagna social #bastatacere, promossa da Human Rights in Childbirth Italia. La sua esistenza, dunque, è riconosciuta sia dalle donne che hanno vissuto esperienze negative in prima persona, sia dalle autorità sanitarie e da ostetriche e medici che lavorano nel settore.

Parlarne è importante

Rientra nella definizione di violenza ostetrica la medicalizzazione non necessaria del parto, l’imposizione di pratiche inappropriate come la manovra di Kristeller o l’episiotomia effettuata di routine. “Il taglio si fa a tutte, sia che serva e sia che non serva”, dice un ginecologo nel racconto di Gabriella Pacini.

Episiotomia, quando serve davvero?Leggi
È violenza costringere la donna a rimanere sdraiata sul lettino perché “si è sempre fatto così”, o accelerare il travaglio per liberare prima la sala parto. Rivolgersi a lei in maniera irrispettosa, irriderla o sgridarla come fosse una bambina irresponsabile.
“Alla base di questi comportamenti c’è la convinzione di alcuni medici e ostetriche che la donna che partorisce non sia del tutto in possesso delle proprie facoltà mentali, che non sia lucida, che non abbia la competenza per capire cosa è bene per lei e per il bambino che sta nascendo”, dice Pacini. “Dunque deve essere diretta, espropriata di ogni scelta, non occorre che venga informata di quello che le accade. Deve affidarsi completamente e seguire le istruzioni. Ma non è così: la donna che dà alla luce il suo bimbo è perfettamente lucida e se viene informata con rispetto e chiarezza è in grado di fare scelte razionali per sé e per il piccolo. La violenza ostetrica non è certo una condizione onnipresente. Di operatrici e operatori bravi, attenti e rispettosi ce ne sono tantissimi, ma quando si verificano episodi di questo tipo non si può tacere. Dobbiamo lavorare tutti insieme per prevenirli”.

Informarsi per prevenire

Ma come deve muoversi una futura mamma per non trovarsi in situazioni di disagio, per scegliere la struttura giusta dove partorire e instaurare un rapporto di reciproco rispetto con il personale che la assisterà? “In primo luogo deve informarsi sulla fisiologia del parto, per sapere che cosa aspettarsi e prospettare un’esperienza più vicina possibile ai suoi desideri”, risponde l’ostetrica. “È importante che rifletta su quello che vuole. Il massimo rispetto della naturalità del parto? Il travaglio in acqua? La partoanalgesia? Quali che siano le sue preferenze, deve averle ben chiare e parlarne esplicitamente con il personale che la assisterà”.
Presentare un piano del parto aiuta a porsi in un atteggiamento attivo, di scelta, sapendo comunque che le richieste formulate potrebbero rimanere insoddisfatte se si presentasse una situazione di reale necessità medica. “Il rispetto è necessario da entrambe le parti: la futura mamma deve riconoscere la competenza medica degli operatori. La collaborazione è più vantaggiosa del muro contro muro”, prosegue Pacini. “Per quanto riguarda la scelta della struttura e dell’assistenza, l’ideale è visitare più di un centro e parlare col personale per farsi un’idea del modello di parto proposto dalla struttura. C’è chi sceglie di farsi seguire dall’ostetrica di fiducia e chi no. In ogni caso è importante avere accanto una persona familiare: il partner, la sorella, un’amica, qualcuno che dia sostegno emotivo alla partoriente”.

Che cos'è il parto attivoLeggi

Un’associazione per sostenere le future mamme

Gabriella Pacini è presidente e socia fondatrice dell’associazione Freedom for Birth Rome Action Group (http://freedomforbirthromeactiongroup.blogspot.it/), che dal 2012 si batte per il rispetto della libertà di scelta della donna riguardo al luogo e alle modalità del parto. “Non sosteniamo alcun modello precostituito, né l’approccio naturalista né quello biomedico”, spiega l’ostetrica, “ma la soggettività e la libertà di ogni donna, correttamente informata, di scegliere il percorso di maternità a lei più affine”. Dell’associazione fanno parte ostetriche, psicologhe e avvocate che offrono alle donne informazioni, sostegno e assistenza per promuovere l’autodeterminazione. “Ma non spingiamo a intentare azioni legali”, avverte Pacini, “che rafforzano il muro della medicina difensiva e in ultima analisi ostacolano la collaborazione tra donne e personale sanitario”.

 

Maria Cristina Valsecchi

 

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Fonte: http://www.dolceattesa.com/parto/piu-rispetto-sala-parto_partorire_travaglio/

Un gesto contro la violenza sulle donne

Qualche giorno fa mi ha scritto Carmela, una cara amica di questo blog, chiedendomi di poter condividere un pensiero, un evento.
Ho sempre pensato che questo non sia solo il MIO blog, ma il NOSTRO blog, uno spazio in cui tutte le mamme, tutti i lettori, possono avere il loro spazio, dire la propria opinione attraverso i commenti e proporre argomenti, fatti, storie da condividere.

L’argomento che propone Carmela è profondo e degno di attenzione. Un tema che apparentemente è lontano, ma in realtà è talmente vicino che può toccare ognuno di noi: la violenza sulle donne.

Ecco cosa ci dice Carmela:

“Ciao Maria, grazie per la tua disponibilità. La violenza sulle donne ormai è all’ordine del giorno, e credo che si debba cominciare in famiglia e sin da piccoli all’educazione e al rispetto per l’altro. Già qualcuna delle nostre amiche che commentano qui sul blog, come Silviafede che l’anno scorso ha partecipato, conoscono questo evento attraverso i miei post che condivido su Facebook.

Oggi vi presentiamo qualcosa di semplice, ma che potrebbe entrare nella storia dell’Umanità. Pensate: un’ora di completo silenzio simultaneo in tutto il web!
Si terrà il 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’Eliminazione della violenza contro le Donne. E’ qualcosa di potente e condiviso, che abbraccia il mondo intero e che difficilmente può passare inosservato!

L’iniziativa ha una finalità importante: far prendere coscienza della violenza di genere e condannare proprio quei silenzi che proteggono i violenti.
Tutti si ricordano dei problemi SOLO quando ne arriva la ricorrenza, per poi dimenticarli sin dal mattino dopo.
Questo gesto mira all’esatto contrario: parlarne sempre e tacere un’ora soltanto.
Gli organizzatori ogni giorno diffondono fatti di cronaca ed iniziative anti-violenza,per cOMbattere l’indifferenza e la disinformazione.
Ma il lavoro più prezioso è quello da compiere sui giovani: l’ EDUCAZIONE!
Un percorso solido e costruttivo, basato su un lavoro quotidiano e che opera su tutti i livelli della società.
L’escalation della violenza, si nutre di piccoli gesti quotidiani… ma gli stessi piccoli gesti, possono eliminarla”

Maggiori informazioni sulla pagina Facebook di Mister OM.

 

 

 



Fonte: http://vivalamamma.tgcom24.it/2016/10/un-gesto-contro-la-violenza-sulle-donne/

Prevenire le infezioni respiratorie nel bambino: vaccino antinfluenzale e immunostimolanti, le novità

L’influenza è una malattia che ogni anno, soprattutto durante la stagione invernale, colpisce fino al 30% dei bambini a livello mondiale, ma prevenirla si può, e la vaccinazione resta il mezzo più efficace. Ciò spiega perché le autorità sanitarie di molti Paesi concordino nel raccomandarla non soltanto negli anziani e nei pazienti di ogni età con fattori di rischio ma anche in bambini sani, come avviene già negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

Anche il nostro Paese sembra aver reso ufficiale questa linea di pensiero come emerge dal Calendario per la Vita 2016, attualmente al vaglio del Ministero della Salute, in cui si evidenzia da parte dei pediatri e medici di medicina generale una forte e univoca raccomandazione all’estensione della vaccinazione antinfluenzale anche ai bambini sani dell’età prescolare.

“I bambini fino ai 5 anni di età, gli anziani sopra i 64 anni e tutti coloro che soffrono di malattie croniche gravi  – afferma la prof.ssa Susanna Esposito, presidente WAidid, Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici – sono i soggetti a maggior rischio di forme particolarmente gravi che possono comportare la necessità di ricovero ospedaliero o, più raramente, condurre alla morte. L’influenza può avere un decorso particolarmente negativo soprattutto quando i virus responsabili dell’infezione sono strutturalmente diversi da quelli che avevano circolato negli anni precedenti, come si verifica nelle pandemie”.

Esistono numerosi fattori per considerare il bambino, anche quello sano, come target di interesse per la vaccinazione contro l’influenza:

  • Il bambino da 0 a 5 anni si ammala d’influenza circa 10 volte più di frequente dell’anziano e circa 5 volte più dell’adulto;
  • Il bambino da 6 a 14 anni si ammala d’influenza circa 8 volte più di frequente dell’anziano e circa 4 volte più dell’adulto;
  • I bambini rappresentano i principali soggetti responsabili della trasmissione dell’influenza nella popolazione;
  • L’ospedalizzazione per influenza del bambino sotto i 2 anni avviene con proporzioni superiori a quelle del paziente anziano.

Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato lo sviluppo di vaccini quadrivalenti invece che trivalenti in considerazione del frequente fenomeno del ‘mismatch’ (mancata corrispondenza) tra ceppi di virus B circolanti e ceppi presenti nel vaccino. Da oltre 30 anni, infatti, il vaccino contro l’influenza è stato preparato con due tipi di virus del gruppo A, l’A/H1N1 e l’A/H3N2, e un virus del gruppo B, i principali responsabili dell’influenza nell’uomo. I dati epidemiologici, in effetti, hanno dimostrato la concomitante e consistente presenza di ambedue i ceppi (o lineage) B-Victoria e BYamagata spesso (come nella stagione influenzale dello scorso anno) con una predominanza o importante circolazione del ceppo non presente nel vaccino e, conseguentemente, con un maggior rischio di complicanze per la popolazione target della vaccinazione.

L’inclusione di ceppi dei due lineage di virus B (Yamagata e Victoria) è pertanto raccomandata per i vaccini antinfluenzali da utilizzare da ora in poi, e quindi i vaccini quadrivalenti andranno progressivamente a sostituire per raccomandazione gli attuali vaccini split o subunità trivalenti a partire dai 3 anni di età (in quanto attualmente sono ancora in corso studi di efficacia e sicurezza per l’approvazione anche nei primi 3 anni di vita).

Non solo influenza e vaccino antinfluenzale, ma anche immunostimolanti e probiotici, tra i temi ampiamente discussi al Congresso.

In Italia, il 25% dei bambini nei primi anni di vita soffre di infezioni respiratorie ricorrenti (IRR) e ciò è dovuto principalmente all’immaturità del loro sistema immunitario e alla presenza di fattori ambientali che aumentano il rischio di esposizione ad agenti patogeni.

Tra le strategie di prevenzione più efficaci, vi è la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori come il pidotimod e l’OM-85.

A tal proposito, un nuovo studio è stato recentemente avviato dall’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano con l’obiettivo di raccogliere ulteriori dati sull’efficacia e la sicurezza dell’immunostimolante/immunomodulatore OM-85 nei bambini con una storia di infezioni respiratorie ricorrenti, analizzando anche l’impatto di OM-85 sul microbiota respiratorio e intestinale.

“Nonostante si tratti di infezioni generalmente lievi – sottolinea Susanna Esposito – le IRR hanno un impatto medico, familiare e socio-economico rilevante e questo spiega perché diverse strategie di prevenzione, tra cui la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori, vengano utilizzate nel tentativo di ridurre la loro incidenza. Dati recenti sebbene non ancora definitivi hanno dimostrato, poi, il ruolo primario del microbiota respiratorio e intestinale nell’aumentare il rischio di recidive respiratorie e l’impatto negativo degli antibiotici sul microbiota. Queste informazioni risultano essere di particolare interesse considerando che alcuni immunostimolanti/immunomodulatori agiscono proprio sull’immunità innata intestinale a seguito della somministrazione per via orale”.

Il microbiota intestinale e di qui l’utilizzo dei probiotici, sembra avere un ruolo importante non soltanto nelle patologie respiratorie ma anche in ambito neurologico. Nuovi studi clinici hanno dimostrato, infatti, una stretta correlazione tra intestino e cervello: un’alterazione nel microbiota, cioè il patrimonio genetico dei batteri che servono al nostro organismo per i processi vitali, determinata da infezioni batteriche o utilizzo frequente di antibiotici, potrebbe contribuire allo sviluppo dei sintomi dell’autismo.

“Il microbiota riveste nell´intestino importanti funzioni fisiologiche – sottolinea Susanna Esposito – quali la maturazione del sistema immunitario, la degradazione di macromolecole alimentari complesse, la detossicazione, la produzione e l´assorbimento di vitamine e minerali, influenzando anche il comportamento. Il sistema immunitario ha sviluppato degli strumenti per convivere con il microbiota, ma anche per tenerlo sotto controllo. Quando questo controllo viene meno, avviene la disbiosi, cioè una de-regolamentazione delle comunità batteriche che non si manifesta sempre con diarrea o stipsi, ma può portare ad altri disturbi infiammatori, in alcuni casi come chiara patologia infiammatoria gastro-intestinale ma anche come allergie, obesità o diabete e, non ultimo, l’autismo. La possibilità di interventi specifici per modificare la qualità del microbiota apre, quindi, la prospettiva ad una serie di nuovi approcci terapeutici nel trattamento dei sintomi dell’autismo, tra cui l’utilizzo dei probiotici”.

 

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Dolore pelvico cronico: in Italia ne soffrono 7,8 milioni di donne, 1 su 4

Dolore pelvico cronico, sono in molte a soffrirne – ben una donna su 4 in Italia – può essere molto debilitante e può limitare anche le più semplici attività quotidiane. “Secondo un’indagine promossa da Onda, per esplorare la conoscenza e la consapevolezza della malattia” spiega la sua Presidente Francesca Merzagora “su un campione di 600 donne dai 18 ai 50 anni, il dolore pelvico impatta fortemente sin dall’inizio su molteplici dimensioni della vita quotidiana delle donne, come umore (48%) e intimità di coppia (48%). Il dolore viene paragonato da chi ne soffre per lo più alla puntura di tanti spilli (17%), a una coltellata (12%), a un martello che picchia (10%) o un fuoco che brucia dentro (10%). È considerato quindi come qualcosa di pervadente, che genera nervosismo, che intacca la felicità della donna, la fa sentire a disagio, stanca e depressa. Nonostante questo la donna spesso tarda ad andare dal medico. Trascorrono infatti 7 mesi tra la comparsa dei sintomi e il primo consulto”.

Il primo medico interpellato è il medico di famiglia anche se il ginecologo rimane la figura di riferimento per questa malattia, consultato da 7 donne su 10. Degno di nota il fatto che il 46% ha dichiarato di aver consultato 2 figure mediche e il 30% di essere stata visitata da 3 o più medici.

Pur trattandosi di un fenomeno che, se trascurato, è in grado di portare a conseguenze anche gravi, la multifattorialità delle cause di questo disturbo – la pelvi accoglie non soltanto gli organi dell’apparato riproduttivo, ma anche urinario, gastroenterico, muscolo-scheletrico e nervoso – insieme a un ‘percorso a ostacoli’ tra gli specialisti, generano importanti ritardi diagnostici” afferma Monica Sommariva, Dirigente medico dell’Unità Operativa di Urologia e Unità Spinale dell’Ospedale G. Fornaroli di Magenta.

La diagnosi è in genere ‘da esclusione’, continua l’esperta. Non sempre si riesce a identificare una causa vera e propria e spesso più cause, anche di diversa competenza specialistica, interagiscono nell’insorgenza della sintomatologia dolorosa. Quando il dolore diventa cronico, si crea come un ‘cortocircuito’ a livello delle strutture nervose deputate alla sua elaborazione, responsabile dell’auto-mantenimento della sensazione dolorosa. Il dolore si trasforma così in vera e propria malattia, diventando un inseparabile compagno di viaggio pervasivo in tutti gli ambiti della vita: affettivo-familiare, socio-relazionale e lavorativo. Il dolore pelvico cronico oggi può essere trattato con un insieme di terapie mediche e comportamentali di alto livello ottenendo un controllo efficace. Il dolore peggiore è tuttavia quello di chi non viene capito nella sua sofferenza, ma ora qualcuno è in grado di ascoltare e ciascun paziente non è più solo ma può vincere e sorridere alla vita”, conclude.

I dati evidenziano inoltre come in generale internet rappresenti, sia per donne sane che affette dalla malattia, la prima fonte di informazione (40% circa). Ben 9 donne che ne soffrono su 10 infatti esprimono il desiderio di avere maggiore informazione sulla malattia. “Risulta fondamentale però rivolgersi a strutture specializzate, gestite da équipe multidisciplinari, composte da diverse e specifiche figure professionali tra loro complementari, in grado di cogliere, attraverso un approccio globale, tutti gli aspetti che la complessità di questa patologia tende a generare, indagando tutte le possibili cause e per individuare le misure terapeutiche più indicate”, aggiunge Francesca Merzagora.

 

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Fonte: http://www.gravidanzaonline.it/benessere/dolore-pelvico-cronico-in-italia-ne-soffrono-78-milioni-di-donne-1-su-4.htm

21 ottobre 2016

Ecco come scrive la persona sensibile e romantica

coppia_letto

Dolce, gentile, romantico, attento alle esigenze dell’altra persona, stabile.
Una razza in via d’estinzione?
Beh! Trovare persone così non è proprio semplice, ma neppure impossibile.
Un aiuto ci arriva dalla grafia.
Oggi la grafologa Candida Livatino ci spiegherà come riconoscere la persona sensibile dalla scrittura:

“Trovare una persona sensibile è sempre più difficile. In una società che premia il pragmatismo e l’egocentrismo rischia di essere una specie in via di estinzione!

La scrittura della persona sensibile è facilmente riconoscibile.liva

Presenta una grafia curvilinea e si caratterizza per la pressione leggera esercitata sul foglio ed il calibro piccolo.

Riflette bene le caratteristiche dello scrivente: un uomo o una donna che ama stare con la sua famiglia, conversare e giocare con le persone alle quali vuole bene, oppure starsene tranquillo a leggere un buon libro o a vedere un bel film.

E’ una persona romantica portata a sognare e ad idealizzare le situazioni.

Dà molta importanza ai sentimenti o poca o nessuna alle cose materiali.

Per affrontare gli ostacoli che trova sul suo cammino ha bisogno di una stabilità che cerca nella vita di coppia.

Spesso la sua fragilità trova una compensazione in un partner che ha caratteristiche differenti, più forte e capace di far fronte all’aggressività altrui.

In caso di diatribe o addirittura di liti si chiude in se stesso e si rifugia nell’ambiente familiare, il solo che gli dà tranquillità e sicurezza.

Ama gli animali e la natura, apprezza i fiori, che sono il suo regalo preferito.

Candida Livatino”

 

COP Livatino Scrivere con il cuore.inddSe volete conoscere cosa dice la grafologia sulle affinità di coppia, o scoprire se il vostro partner è fedele, sincero, vanitoso o geloso, se è più portato per i rapporti duraturi o per le avventure,  e tanto altro ancora, vi ricordo che Candida Livatino ha scritto il terzo libro proprio su questo tema: “Scrivere con il cuore” editore: Sperling & Kupfer.

Candida Livatino ha anche un sito Internet in cui racconta tutte le sue esperienze lavorative e tanto altro ancora.

L’indirizzo :
www.livatinocandida.it



Fonte: http://vivalamamma.tgcom24.it/2016/10/ecco-come-scrive-la-persona-sensibile-e-romantica/

Aerosol per bambini. Consigli, modelli e prezzi

Modelli e consigli su aerosol per bambini.

L’ inverno dei piccoli ti spaventa? Quale aerosol per bambini scegliere? Quali sono i prezzi ed i modelli sul mercato? Ne parliamo in questo post!

Arieccoci. Freddo, gelo, mucci, starnuti, tosse, nasi arrossati. Si chiama inverno.

Ma poi ci sono anche i piumoni, le tazze di tisana calda, il minestrone, gli abbracci e le coccole con la mamma. Il freddo ci unisce ed è una buona scusa per stare vicino, non trovi? In fondo non è poi tanto male questa stagione così temuta. Basta trovare i rimedi giusti per affrontarla al meglio. Perché se si ammalano i bambini, è presto detto: tutta la famiglia è ammalata. E allora meglio non andarci giù pesante con medicinali aggressivi. Una buona di prevenzione, ma soprattutto, parola d’ordine è aerosol per bambini. Già, ma quanto costa un aerosol? Dove si acquista? Quale modello di aerosol per bambini bisogna scegliere? Scopriamolo subito.

Malanni di stagione dei bambini.

Aerosol per bambini: i modelli in commercio

Hai ricordi degli apparecchi per aerosol degli anni ‘90? Ingombranti, rumorosi, gocciolanti. Montare i pezzi che costituivano il dispositivo era più complicato che montare un mobile Ikea.

Ecco, cancella quei ricordi.

I sistemi nebulizzanti di oggi, e soprattutto gli aerosol per bambini attualmente sul mercato, offrono davvero alte prestazioni. I modelli in commercio oggi sono pratici ed efficaci.

Sono semplici da utilizzare

Innanzitutto non richiedono una laurea di ingegneria spaziale per l’assemblaggio delle componenti. Anzi, spesso sono un corpo unico, con un’unica appendice da inserire (di solito la mascherina che si igienizza dopo l’utilizzo).

Richiedono meno tempo

Il tempo di utilizzo si è ridotto drasticamente.

Rispetto ai dispositivi del passato, in pochi minuti, gli aerosol per bambini compiono il loro dovere. Del resto con la vita frenetica che facciamo oggi, chi ha tempo per fermarsi anche solo 10 minuti?! E i nostri bambini poi, sono difficili da acchiappare e convincere a rimanere immobili per un lasso X di tempo.

Sono accattivanti

Ecco perché gli aerosol per bambini sono sempre più bimbo-friendly. Ossia, la forma ed il design dell’aerosol strizzano un occhio ai piccoli. In questo modo è più facile convincerli a sottoporsi al ciclo di nebulizzazione. È il caso dell’aerosol Trenino di Mebby. Simpatico e rassicurante, fa il suo dovere con il sorriso. Un altro esempio è l’aerosol Sami the Seal di Philips Avent a forma di foca blu. O ancora Star di Medel, un sistema per aerosolterapia dotato di compressore a pistone, silenzioso e pratico.

Sono smart

Tecnologici, sono poco ingombranti ed efficaci. A volte sono addirittura portatili! Ci pensi? “Aspetta, ho l’aerosol in borsa” e quanta praticità durante i viaggi e fuori di casa. Ca-Mi aerosol Kiwi, ad esempio, è un modello di aerosol che ti consente appunto, di portare l’aerosol ovunque lo desideri, grazie alle sue ridotte dimensioni. Inoltre lo ricarichi in casa, con la presa elettrica, oppure funziona anche a pile.

Modelli e prezzi di aerosol per bambini.

Aerosol per bambini: i prezzi

Per quanto riguarda i prezzi degli aerosol per bambini, possiamo dire che la spesa varia in media tra i 40 e i 200 euro. Costi fattibilissimi se pensiamo che con un aerosol da 70 euro ad esempio, abbiamo già caratteristiche tecnologiche avanzate.

Altri rimedi per i malanni di stagione dei bambini

Un altro rimedio utile per i malanni di stagione sono sicuramente i diffusori di propoli. Come vi abbiamo già spiegato su questo blog in passato, qui siamo nella sfera della prevenzione e della cura nella maniera più naturale possibile, rafforzando le difese immunitarie dei soggetti. A tal proposito, da segnalarti, sicuramente, è una novità del settore. Un aerosol per bambini e adulti che funge anche da diffusore di propoli. Il diffusore Propoltherapy di Kontak, è un dispositivo multifunzionale che sanifica l’ambiente abbattendo i microbi nell’aria, funge da ionizzatore e diffonde propoli con la mascherina aerosol.

Ancora i rimedi per i malanni di stagione dei bambini sono sicuramente i termometri di ultima generazione, capaci di misurare la temperatura anche a distanza; gli odiatissimi aspiratori nasali (la parte difficile è quella di acchiappare tuo figlio, ma una volta fatto, non fanno male ed il risultato è ottimo).

Tutti i prodotti aerosol per bambini di cui ti abbiamo parlato in questo post, li trovi sul nostro store online ad un ottimo prezzo e con consegna rapida a domicilio.

Inverno vieni pure. Siamo pronti, non ci fai paura!

 

 

Fonte foto: Altroconsumo

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