25 ottobre 2016

Social freezing: una via per preservare la fertilità

La crioconservazione degli ovociti, o social freezing, può essere considerata la nuova frontiera della fecondazione. Tante donne, oggi, per impossibilità o per scelta si trovano a posticipare il progetto di un figlio: da chi deve fare un intervento che può incidere sulla fertilità a chi ha la necessità di sottoporsi a chemioterapia per tumore, dalle donne che contano casi di menopausa precoce in famiglia, fino a chi attende di trovarsi nelle condizioni giuste, dal punto di vista economico e affettivo, per pensare a una famiglia.
Il rischio, però, rimandando troppo, è di vedersi costrette a rinunciare alla gravidanza a causa dell’età avanzata e del calo della fertilità. Una possibilità che può essere presa in considerazione quando il proprio planning di vita non contempla l’idea di una maternità per lungo tempo può essere, allora, quella del social freezing. Ecco di che cosa si tratta.

Che cos’è il social freezing?

Il social freezing consiste nella crioconservazione dei gameti femminili: l’obiettivo è avere maggiori probabilità di concepire in futuro ricorrendo alle procedure di procreazione medicalmente assistita, qualora non si riuscisse ad avviare una gravidanza spontaneamente.
“Il punto è che fino ai 35 anni circa, è generalmente facile per le donne concepire, mentre dopo i 40 le probabilità calano drammaticamente anche ricorrendo alle tecniche di fecondazione assistita. L’aiuto medico, quindi, è relativamente efficace solo fino a quest’età barriera”, dice Alessandra Vucetich, membro del consiglio direttivo dell’Associazione PRO-FERT, Società italiana di conservazione della fertilità e dell’Associazione Cecos.
“È importante che le donne siano consapevoli di questo. È ovvio che è meglio concepire in modo naturale da giovani. Ma se il programma di vita non prevede una maternità per lungo tempo, mettere in sicurezza i propri ovociti può essere una buona strategia”.

 

Come capire se vale la pena ricorrervi?

“In base ai dati dell’Instituto Valenciano de Infertilidad (IVI), occorre tener presente 3 importanti marcatori: la riserva ovarica (che può variare da donna a donna), la capacità degli ovociti di essere funzionali con il decongelamento e la percentuale di gravidanze che arrivano al termine (due markers che dipendono dallo stato dell’arte delle tecnologie)”, spiega l’esperta.
“L’età della donna influenza tutti questi marcatori perché col passare degli anni la qualità degli ovociti peggiora. Questo significa che per avere le stesse possibilità di concepimento servirà un numero maggiore di gameti femminili”. Quali sono le probabilità di successo? “Fino ai 36 anni, raccogliendo 8-10 ovociti, si avranno il 40-60% di possibilità di portare a termine la gravidanza in futuro. Dopo i 36 anni, invece, congelando lo stesso numero di cellule uovo, si avrà una percentuale del 20-30%. L’età limite per decongelare gli ovociti si può collocare intorno ai 45 anni”, dice l’esperta. “Il fisico di una donna, infatti, A questa età è ancora in grado di portare avanti bene la gravidanza”. C’è un ultimo elemento, poi, che va considerato. “Dopo i 36-38 anni, è più difficile raccogliere con una sola stimolazione ovarica (operazione necessaria per conservare i propri ovociti) la giusta quantità di ovociti. Potrebbero, quindi, servire più stimolazioni”, dice Alessandra Vucetich.

“Congelare un numero adeguato di ovociti è fondamentale per un esito soddisfacente dell’operazione in quanto non tutti sopravvivono e non tutti si fecondano”, sottolinea Andrea Borini, direttore e responsabile clinico e scientifico di Tecnobios Procreazione, e presidente SIFES (Società Italiana di Fertilità e Sterilità e Medicina della Riproduzione). “Non è detto, poi, che alla fine ci sia bisogno di ricorrere alla fecondazione assistita. Questa via rappresenta una possibilità solo nel caso non si riesca a concepire spontaneamente”.

Quali possono essere gli effetti collaterali?

“Eventuali sintomi possono essere legati alla stimolazione ovarica, ma con i farmaci oggi a disposizione sono praticamente nulli. La sindrome da iperstimolazione ovarica (condizione in cui l’ovaio iperstimolato si gonfia e può dare dolore addominale), in particolare, sta diventando sempre più rara”, dice Alessandra Vucetich. “Inoltre, moltissimi lavori pubblicati da studiosi del Nord-America, Nord Europa e Israele hanno dimostrato che non esiste alcun rischio aumentato di insorgenza dei tumori (né al seno, né dell’ovaio, né dell’utero). La raccolta dei dati, però, vista l’importanza dell’argomento, sta continuando”.

Quanto costa?

“In Italia, il social freezing non è finanziato dal Servizio Sanitario Nazionale. Le donne che vogliono congelare i propri ovociti, quindi, devono rivolgersi a un centro privato e pagare i farmaci per la stimolazione ovarica”, dice Andrea Borini.
Il costo dell’operazione va dai 2 ai 3 mila euro, cui si aggiungono circa 200-300 euro per il deposito annuo. “Per le donne che devono sottoporsi a cicli di chemioterapia (che mettono in pericolo la fertilità), invece, l’SSN copre le spese”.

A chi rivolgersi?

Sul sito dell’Associazione PRO-FERT è possibile trovare una lista dei centri che effettuano la crioconservazione (http://profert.org/i-centri-di-crioconservazione/)

 

Michela Crippa

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