24 ottobre 2016

Più rispetto in sala parto!

Anna è un’ostetrica di lunga esperienza e ha le idee chiare su quello che le donne devono fare e su come devono farlo: a modo suo, non a modo loro. Non si impietosisce di fronte ai lamenti e non ha tempo da perdere per aspettare i loro comodi.

“Una voleva stare in piedi e non c’era verso di metterla giù”, racconta. “Ho dovuto disturbare il dottore. E lui glielo ha detto: su, adesso faccia la brava, si metta giù e apra bene le gambe. Certo, le urla si sono sentite fino in radiologia, ma con un paio di belle spinte sulla pancia che ha dato il dottore e un taglio fatto bene, in pochi minuti il bambino era fuori. Altro che parto in piedi!”.

Nel profondo del cuore di Anna, però, c’è la frattura creata da un dubbio: che esista un altro modo per dare alla luce un bimbo, un modo più dolce, più umano e rispettoso dei tempi e della libertà della madre, che il parto non debba essere necessariamente dolore, pericolo, paura, fretta, bensì un evento fisiologico.

 

L’ostetrica, il mestiere più antico del mondo

Anna è la protagonista e voce narrante di un racconto scritto due anni e mezzo fa da Gabriella Pacini, ostetrica di Roma, per denunciare situazioni che incontrava ogni giorno nel suo lavoro. “Tutto quello che Anna racconta, io l’ho vissuto in prima persona. Tutti i dialoghi sono veri, parola per parola”, dice l’autrice, che ha pubblicato il testo in formato ebook col titolo “Il mestiere più antico del mondo” (2015, Feltrinelli, collana ZOOM Flash) con lo pseudonimo di Gianlorenzo Pacini. “A quell’epoca, appena un paio di anni fa non si parlava di violenza ostetrica e la consapevolezza sull’argomento era pressoché nulla. L’idea di raccontare queste storie apertamente, a mio nome, mi metteva a disagio. Per questo ho fatto ricorso allo pseudonimo”.
Oggi, però, Gabriella Pacini è uscita allo scoperto e il suo racconto è diventato uno spettacolo teatrale con lo stesso titolo (https://www.facebook.com/ilmestierepiuanticodelmondoILPARTO), un lungo monologo recitato da Laura Nardi, con la regia di Amandio Pinheiro.

Uno spettacolo itinerante

“Ho conosciuto Laura Nardi perché ho assistito alla nascita dei suoi bambini”, dice l’ostetrica. “Ha letto il mio libro e ha trovato che fosse adatto per rappresentarlo a teatro, perché è un racconto in prima persona e la narrazione ha un ritmo serrato”.
L’attrice si muove da sola sul palcoscenico, con l’unico ausilio di una sedia, evocando gli ambienti e gli altri personaggi con la forza delle parole.
“Stiamo portando lo spettacolo in giro, dovunque ce lo chiedano”, spiega Pacini. “Alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, nelle sedi di circoli e associazioni. Vorremmo portarlo nelle università, per far riflettere gli studenti di medicina e di ostetricia”.
La violenza ostetrica denunciata da Gabriella Pacini con il suo racconto è un fenomeno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha descritto in una storica dichiarazione del 2014, dal titolo “La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere”,  lo stesso fenomeno denunciato dalle madri alcuni mesi fa attraverso la campagna social #bastatacere, promossa da Human Rights in Childbirth Italia. La sua esistenza, dunque, è riconosciuta sia dalle donne che hanno vissuto esperienze negative in prima persona, sia dalle autorità sanitarie e da ostetriche e medici che lavorano nel settore.

Parlarne è importante

Rientra nella definizione di violenza ostetrica la medicalizzazione non necessaria del parto, l’imposizione di pratiche inappropriate come la manovra di Kristeller o l’episiotomia effettuata di routine. “Il taglio si fa a tutte, sia che serva e sia che non serva”, dice un ginecologo nel racconto di Gabriella Pacini.

Episiotomia, quando serve davvero?Leggi
È violenza costringere la donna a rimanere sdraiata sul lettino perché “si è sempre fatto così”, o accelerare il travaglio per liberare prima la sala parto. Rivolgersi a lei in maniera irrispettosa, irriderla o sgridarla come fosse una bambina irresponsabile.
“Alla base di questi comportamenti c’è la convinzione di alcuni medici e ostetriche che la donna che partorisce non sia del tutto in possesso delle proprie facoltà mentali, che non sia lucida, che non abbia la competenza per capire cosa è bene per lei e per il bambino che sta nascendo”, dice Pacini. “Dunque deve essere diretta, espropriata di ogni scelta, non occorre che venga informata di quello che le accade. Deve affidarsi completamente e seguire le istruzioni. Ma non è così: la donna che dà alla luce il suo bimbo è perfettamente lucida e se viene informata con rispetto e chiarezza è in grado di fare scelte razionali per sé e per il piccolo. La violenza ostetrica non è certo una condizione onnipresente. Di operatrici e operatori bravi, attenti e rispettosi ce ne sono tantissimi, ma quando si verificano episodi di questo tipo non si può tacere. Dobbiamo lavorare tutti insieme per prevenirli”.

Informarsi per prevenire

Ma come deve muoversi una futura mamma per non trovarsi in situazioni di disagio, per scegliere la struttura giusta dove partorire e instaurare un rapporto di reciproco rispetto con il personale che la assisterà? “In primo luogo deve informarsi sulla fisiologia del parto, per sapere che cosa aspettarsi e prospettare un’esperienza più vicina possibile ai suoi desideri”, risponde l’ostetrica. “È importante che rifletta su quello che vuole. Il massimo rispetto della naturalità del parto? Il travaglio in acqua? La partoanalgesia? Quali che siano le sue preferenze, deve averle ben chiare e parlarne esplicitamente con il personale che la assisterà”.
Presentare un piano del parto aiuta a porsi in un atteggiamento attivo, di scelta, sapendo comunque che le richieste formulate potrebbero rimanere insoddisfatte se si presentasse una situazione di reale necessità medica. “Il rispetto è necessario da entrambe le parti: la futura mamma deve riconoscere la competenza medica degli operatori. La collaborazione è più vantaggiosa del muro contro muro”, prosegue Pacini. “Per quanto riguarda la scelta della struttura e dell’assistenza, l’ideale è visitare più di un centro e parlare col personale per farsi un’idea del modello di parto proposto dalla struttura. C’è chi sceglie di farsi seguire dall’ostetrica di fiducia e chi no. In ogni caso è importante avere accanto una persona familiare: il partner, la sorella, un’amica, qualcuno che dia sostegno emotivo alla partoriente”.

Che cos'è il parto attivoLeggi

Un’associazione per sostenere le future mamme

Gabriella Pacini è presidente e socia fondatrice dell’associazione Freedom for Birth Rome Action Group (http://freedomforbirthromeactiongroup.blogspot.it/), che dal 2012 si batte per il rispetto della libertà di scelta della donna riguardo al luogo e alle modalità del parto. “Non sosteniamo alcun modello precostituito, né l’approccio naturalista né quello biomedico”, spiega l’ostetrica, “ma la soggettività e la libertà di ogni donna, correttamente informata, di scegliere il percorso di maternità a lei più affine”. Dell’associazione fanno parte ostetriche, psicologhe e avvocate che offrono alle donne informazioni, sostegno e assistenza per promuovere l’autodeterminazione. “Ma non spingiamo a intentare azioni legali”, avverte Pacini, “che rafforzano il muro della medicina difensiva e in ultima analisi ostacolano la collaborazione tra donne e personale sanitario”.

 

Maria Cristina Valsecchi

 

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Fonte: http://www.dolceattesa.com/parto/piu-rispetto-sala-parto_partorire_travaglio/

Un gesto contro la violenza sulle donne

Qualche giorno fa mi ha scritto Carmela, una cara amica di questo blog, chiedendomi di poter condividere un pensiero, un evento.
Ho sempre pensato che questo non sia solo il MIO blog, ma il NOSTRO blog, uno spazio in cui tutte le mamme, tutti i lettori, possono avere il loro spazio, dire la propria opinione attraverso i commenti e proporre argomenti, fatti, storie da condividere.

L’argomento che propone Carmela è profondo e degno di attenzione. Un tema che apparentemente è lontano, ma in realtà è talmente vicino che può toccare ognuno di noi: la violenza sulle donne.

Ecco cosa ci dice Carmela:

“Ciao Maria, grazie per la tua disponibilità. La violenza sulle donne ormai è all’ordine del giorno, e credo che si debba cominciare in famiglia e sin da piccoli all’educazione e al rispetto per l’altro. Già qualcuna delle nostre amiche che commentano qui sul blog, come Silviafede che l’anno scorso ha partecipato, conoscono questo evento attraverso i miei post che condivido su Facebook.

Oggi vi presentiamo qualcosa di semplice, ma che potrebbe entrare nella storia dell’Umanità. Pensate: un’ora di completo silenzio simultaneo in tutto il web!
Si terrà il 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’Eliminazione della violenza contro le Donne. E’ qualcosa di potente e condiviso, che abbraccia il mondo intero e che difficilmente può passare inosservato!

L’iniziativa ha una finalità importante: far prendere coscienza della violenza di genere e condannare proprio quei silenzi che proteggono i violenti.
Tutti si ricordano dei problemi SOLO quando ne arriva la ricorrenza, per poi dimenticarli sin dal mattino dopo.
Questo gesto mira all’esatto contrario: parlarne sempre e tacere un’ora soltanto.
Gli organizzatori ogni giorno diffondono fatti di cronaca ed iniziative anti-violenza,per cOMbattere l’indifferenza e la disinformazione.
Ma il lavoro più prezioso è quello da compiere sui giovani: l’ EDUCAZIONE!
Un percorso solido e costruttivo, basato su un lavoro quotidiano e che opera su tutti i livelli della società.
L’escalation della violenza, si nutre di piccoli gesti quotidiani… ma gli stessi piccoli gesti, possono eliminarla”

Maggiori informazioni sulla pagina Facebook di Mister OM.

 

 

 



Fonte: http://vivalamamma.tgcom24.it/2016/10/un-gesto-contro-la-violenza-sulle-donne/

Prevenire le infezioni respiratorie nel bambino: vaccino antinfluenzale e immunostimolanti, le novità

L’influenza è una malattia che ogni anno, soprattutto durante la stagione invernale, colpisce fino al 30% dei bambini a livello mondiale, ma prevenirla si può, e la vaccinazione resta il mezzo più efficace. Ciò spiega perché le autorità sanitarie di molti Paesi concordino nel raccomandarla non soltanto negli anziani e nei pazienti di ogni età con fattori di rischio ma anche in bambini sani, come avviene già negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

Anche il nostro Paese sembra aver reso ufficiale questa linea di pensiero come emerge dal Calendario per la Vita 2016, attualmente al vaglio del Ministero della Salute, in cui si evidenzia da parte dei pediatri e medici di medicina generale una forte e univoca raccomandazione all’estensione della vaccinazione antinfluenzale anche ai bambini sani dell’età prescolare.

“I bambini fino ai 5 anni di età, gli anziani sopra i 64 anni e tutti coloro che soffrono di malattie croniche gravi  – afferma la prof.ssa Susanna Esposito, presidente WAidid, Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici – sono i soggetti a maggior rischio di forme particolarmente gravi che possono comportare la necessità di ricovero ospedaliero o, più raramente, condurre alla morte. L’influenza può avere un decorso particolarmente negativo soprattutto quando i virus responsabili dell’infezione sono strutturalmente diversi da quelli che avevano circolato negli anni precedenti, come si verifica nelle pandemie”.

Esistono numerosi fattori per considerare il bambino, anche quello sano, come target di interesse per la vaccinazione contro l’influenza:

  • Il bambino da 0 a 5 anni si ammala d’influenza circa 10 volte più di frequente dell’anziano e circa 5 volte più dell’adulto;
  • Il bambino da 6 a 14 anni si ammala d’influenza circa 8 volte più di frequente dell’anziano e circa 4 volte più dell’adulto;
  • I bambini rappresentano i principali soggetti responsabili della trasmissione dell’influenza nella popolazione;
  • L’ospedalizzazione per influenza del bambino sotto i 2 anni avviene con proporzioni superiori a quelle del paziente anziano.

Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato lo sviluppo di vaccini quadrivalenti invece che trivalenti in considerazione del frequente fenomeno del ‘mismatch’ (mancata corrispondenza) tra ceppi di virus B circolanti e ceppi presenti nel vaccino. Da oltre 30 anni, infatti, il vaccino contro l’influenza è stato preparato con due tipi di virus del gruppo A, l’A/H1N1 e l’A/H3N2, e un virus del gruppo B, i principali responsabili dell’influenza nell’uomo. I dati epidemiologici, in effetti, hanno dimostrato la concomitante e consistente presenza di ambedue i ceppi (o lineage) B-Victoria e BYamagata spesso (come nella stagione influenzale dello scorso anno) con una predominanza o importante circolazione del ceppo non presente nel vaccino e, conseguentemente, con un maggior rischio di complicanze per la popolazione target della vaccinazione.

L’inclusione di ceppi dei due lineage di virus B (Yamagata e Victoria) è pertanto raccomandata per i vaccini antinfluenzali da utilizzare da ora in poi, e quindi i vaccini quadrivalenti andranno progressivamente a sostituire per raccomandazione gli attuali vaccini split o subunità trivalenti a partire dai 3 anni di età (in quanto attualmente sono ancora in corso studi di efficacia e sicurezza per l’approvazione anche nei primi 3 anni di vita).

Non solo influenza e vaccino antinfluenzale, ma anche immunostimolanti e probiotici, tra i temi ampiamente discussi al Congresso.

In Italia, il 25% dei bambini nei primi anni di vita soffre di infezioni respiratorie ricorrenti (IRR) e ciò è dovuto principalmente all’immaturità del loro sistema immunitario e alla presenza di fattori ambientali che aumentano il rischio di esposizione ad agenti patogeni.

Tra le strategie di prevenzione più efficaci, vi è la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori come il pidotimod e l’OM-85.

A tal proposito, un nuovo studio è stato recentemente avviato dall’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano con l’obiettivo di raccogliere ulteriori dati sull’efficacia e la sicurezza dell’immunostimolante/immunomodulatore OM-85 nei bambini con una storia di infezioni respiratorie ricorrenti, analizzando anche l’impatto di OM-85 sul microbiota respiratorio e intestinale.

“Nonostante si tratti di infezioni generalmente lievi – sottolinea Susanna Esposito – le IRR hanno un impatto medico, familiare e socio-economico rilevante e questo spiega perché diverse strategie di prevenzione, tra cui la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori, vengano utilizzate nel tentativo di ridurre la loro incidenza. Dati recenti sebbene non ancora definitivi hanno dimostrato, poi, il ruolo primario del microbiota respiratorio e intestinale nell’aumentare il rischio di recidive respiratorie e l’impatto negativo degli antibiotici sul microbiota. Queste informazioni risultano essere di particolare interesse considerando che alcuni immunostimolanti/immunomodulatori agiscono proprio sull’immunità innata intestinale a seguito della somministrazione per via orale”.

Il microbiota intestinale e di qui l’utilizzo dei probiotici, sembra avere un ruolo importante non soltanto nelle patologie respiratorie ma anche in ambito neurologico. Nuovi studi clinici hanno dimostrato, infatti, una stretta correlazione tra intestino e cervello: un’alterazione nel microbiota, cioè il patrimonio genetico dei batteri che servono al nostro organismo per i processi vitali, determinata da infezioni batteriche o utilizzo frequente di antibiotici, potrebbe contribuire allo sviluppo dei sintomi dell’autismo.

“Il microbiota riveste nell´intestino importanti funzioni fisiologiche – sottolinea Susanna Esposito – quali la maturazione del sistema immunitario, la degradazione di macromolecole alimentari complesse, la detossicazione, la produzione e l´assorbimento di vitamine e minerali, influenzando anche il comportamento. Il sistema immunitario ha sviluppato degli strumenti per convivere con il microbiota, ma anche per tenerlo sotto controllo. Quando questo controllo viene meno, avviene la disbiosi, cioè una de-regolamentazione delle comunità batteriche che non si manifesta sempre con diarrea o stipsi, ma può portare ad altri disturbi infiammatori, in alcuni casi come chiara patologia infiammatoria gastro-intestinale ma anche come allergie, obesità o diabete e, non ultimo, l’autismo. La possibilità di interventi specifici per modificare la qualità del microbiota apre, quindi, la prospettiva ad una serie di nuovi approcci terapeutici nel trattamento dei sintomi dell’autismo, tra cui l’utilizzo dei probiotici”.

 

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Dolore pelvico cronico: in Italia ne soffrono 7,8 milioni di donne, 1 su 4

Dolore pelvico cronico, sono in molte a soffrirne – ben una donna su 4 in Italia – può essere molto debilitante e può limitare anche le più semplici attività quotidiane. “Secondo un’indagine promossa da Onda, per esplorare la conoscenza e la consapevolezza della malattia” spiega la sua Presidente Francesca Merzagora “su un campione di 600 donne dai 18 ai 50 anni, il dolore pelvico impatta fortemente sin dall’inizio su molteplici dimensioni della vita quotidiana delle donne, come umore (48%) e intimità di coppia (48%). Il dolore viene paragonato da chi ne soffre per lo più alla puntura di tanti spilli (17%), a una coltellata (12%), a un martello che picchia (10%) o un fuoco che brucia dentro (10%). È considerato quindi come qualcosa di pervadente, che genera nervosismo, che intacca la felicità della donna, la fa sentire a disagio, stanca e depressa. Nonostante questo la donna spesso tarda ad andare dal medico. Trascorrono infatti 7 mesi tra la comparsa dei sintomi e il primo consulto”.

Il primo medico interpellato è il medico di famiglia anche se il ginecologo rimane la figura di riferimento per questa malattia, consultato da 7 donne su 10. Degno di nota il fatto che il 46% ha dichiarato di aver consultato 2 figure mediche e il 30% di essere stata visitata da 3 o più medici.

Pur trattandosi di un fenomeno che, se trascurato, è in grado di portare a conseguenze anche gravi, la multifattorialità delle cause di questo disturbo – la pelvi accoglie non soltanto gli organi dell’apparato riproduttivo, ma anche urinario, gastroenterico, muscolo-scheletrico e nervoso – insieme a un ‘percorso a ostacoli’ tra gli specialisti, generano importanti ritardi diagnostici” afferma Monica Sommariva, Dirigente medico dell’Unità Operativa di Urologia e Unità Spinale dell’Ospedale G. Fornaroli di Magenta.

La diagnosi è in genere ‘da esclusione’, continua l’esperta. Non sempre si riesce a identificare una causa vera e propria e spesso più cause, anche di diversa competenza specialistica, interagiscono nell’insorgenza della sintomatologia dolorosa. Quando il dolore diventa cronico, si crea come un ‘cortocircuito’ a livello delle strutture nervose deputate alla sua elaborazione, responsabile dell’auto-mantenimento della sensazione dolorosa. Il dolore si trasforma così in vera e propria malattia, diventando un inseparabile compagno di viaggio pervasivo in tutti gli ambiti della vita: affettivo-familiare, socio-relazionale e lavorativo. Il dolore pelvico cronico oggi può essere trattato con un insieme di terapie mediche e comportamentali di alto livello ottenendo un controllo efficace. Il dolore peggiore è tuttavia quello di chi non viene capito nella sua sofferenza, ma ora qualcuno è in grado di ascoltare e ciascun paziente non è più solo ma può vincere e sorridere alla vita”, conclude.

I dati evidenziano inoltre come in generale internet rappresenti, sia per donne sane che affette dalla malattia, la prima fonte di informazione (40% circa). Ben 9 donne che ne soffrono su 10 infatti esprimono il desiderio di avere maggiore informazione sulla malattia. “Risulta fondamentale però rivolgersi a strutture specializzate, gestite da équipe multidisciplinari, composte da diverse e specifiche figure professionali tra loro complementari, in grado di cogliere, attraverso un approccio globale, tutti gli aspetti che la complessità di questa patologia tende a generare, indagando tutte le possibili cause e per individuare le misure terapeutiche più indicate”, aggiunge Francesca Merzagora.

 

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Fonte: http://www.gravidanzaonline.it/benessere/dolore-pelvico-cronico-in-italia-ne-soffrono-78-milioni-di-donne-1-su-4.htm