26 ottobre 2016

Bimbi in sovrappeso? È “colpa delle mamme che lavorano”!

Secondo una ricerca dell’economista Wencke Gwodzd (nella foto) della Copenhagen Business School, il fatto che in una famiglia lavorino entrambi i genitori, determinerebbe un aumento di bambini extralarge. Una brutta tegola sul capo dei genitori, dunque, e in particolare su quello delle mamme.

Wencke-Gwodzd-economista

La ricerca ha preso in considerazione vari studi inerenti madri lavoratrici e obesità infantile, scoprendo esplicite relazioni tra questi due elementi in molti Paesi.

In sostanza, se oltre al papà anche la mamma lavora, è più facile che il bimbo venga su in sovrappeso. E la relazione, spiega la ricercatrice, è risultata più forte nel caso dei bambini tra 5 e 10 anni, più grandicelli e quindi autonomi nella scelta di cosa mangiare.

Inoltre, scrive il ‘Mirror‘, in assenza delle mamme i figli tendono a prediligere attività più sedentarie e a dormire meno rispetto ai coetanei con madri casalinghe. E anche la carenza di sonno è stata messa in relazione all’aumento di peso.

Ma ad attenuare la responsabilità delle mamme c’è il fatto che, quando la famiglia è supportata nella cura dei figli, il peso dei piccoli ne risente positivamente.

Probabilmente, quindi, un maggior sostegno per i genitori che lavorano potrebbe aiutare a contrastare la imperversante diffusione dell’obesità.

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Così sono uscita dalla depressione post partum

A volte penso che se non ci fosse stato mio marito che insisteva per tirarmi giù dal letto, io non so che fine avrei fatto. L’unico desiderio era quello di stare in un mondo liquido, senza odore né sapore, indolore, soffice e perenne. Volevo solo dormire; la luce non doveva entrare dalle finestre, perché se la stanza ne fosse stata inondata sarebbe significato che ero viva. E io in quei mesi terribili non sapevo se volevo esserlo.

Che cosa mi aveva ridotto in quello stato? Il fatto di essere diventata madre. E pensare che avevo desiderato tanto esserlo! Ci sono riuscita anche al primo tentativo, senza dover percorrere il calvario che in tante provano. Prima di rimanere incinta scorrevo alcuni interventi su vari forum legati alla maternità e leggevo storie di sofferenza. Donne che calcolavano quando avere rapporti, che contavano i giorni di ritardo sperando di ‘aver beccato la cicogna’ o che elencavano i possibili sintomi di una gravidanza per poi scoprire, qualche giorno dopo, di essersi illuse. Avere un bambino non era più una gioia: era un lavoro, un calcolo preciso, una lotta contro il tempo. Un’ossessione.

Io, invece, ci sono riuscita subito. Non ho sperimentato la fatica e neanche la gioia: semplicemente ce l’avevo fatta. Non l’ho detto subito ai miei genitori perché mi sentivo ‘sporca’: avevamo concepito un figlio senza avere una sicurezza lavorativa e per loro senza un futuro certo. “Potevate aspettare”, sono state le loro prime parole. E io – che avevo ricercato per tutta la vita la loro approvazione nonostante avessi già 30 anni – non riuscivo a dire “chissenefrega” e in cuor mio pensavo che avessero ragione. Che futuro avrei potuto dare alla mia creatura?

Pensieri fastidiosi

I mesi passavano, la pancia cresceva e per me non era poi un problema. Facevo la mia vita di prima, lavoravo, vedevo gli amici. Ogni tanto mi sentivo minacciata da qualche pensiero che puntualmente scacciavo via con la mano, come si mandano via delle mosche fastidiose. “Sarò una brava mamma?”, mi chiedevo. “E se non sono capace?”. Poi, puntualmente, mi tranquillizzavo dicendomi che ci erano passate tutte prima di me e che io avevo le risorse per farcela.

Eppure, più si avvicinava la data del parto, più mi sentivo inquieta. Non lo davo a vedere, perché tutti mi coccolavano: essere continuamente al centro dell’attenzione mi faceva sentire una dea. Non volevo che tutto finisse perché sapevo che, una volta partorito, il “come stai?” sarebbe diventato “come sta la bambina?”.

La delusione del parto

Il parto di mia figlia Paola è stato il momento più brutto della mia vita. L’avevo immaginato, idealizzato, mi ero figurata con una potenza indescrivibile. Credevo che non avrei chiesto l’epidurale, perché mi ritenevo forte a sufficienza per poter controllare tutto. E invece ogni cosa è andata storta: nonostante quindici ore di travaglio il mio corpo, stanco ed esausto, non si è dilatato abbastanza per fare un parto naturale. Così sono stata sottoposta a un cesareo d’urgenza con anestesia totale. Quando mi sono svegliata ero solo gonfia e sfatta, con la pancia molle e il catetere. La bimba era nata, io non l’avevo vista e volevo solo che quella giornata di primavera finisse in fretta.

 

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Una piccola sconosciuta

Il primo ricordo che ho della mia nuova vita da mamma è l’orologio che segnava le 19.40. Quando finalmente ho potuto vedere la mia bambina – che vestita con una tutina bianca dormiva beatamente nella sua piccola culla – non ho sentito niente. Né un grande amore, né un’infinita felicità. Nulla di nulla.

Non potevo essere diventata così, in quel modo, nessuno mi aveva avvertita. Il mio unico desiderio era quello di riposare, mentre a tutte le ostetriche e puericultrici intorno a me sembrava importare solo che attaccassi la bimba al seno. E quando ho provato a dire che ero stanca e che volevo dormire, mi hanno risposto che non potevano mandare Paola al nido, perché “se piange poi dobbiamo riportarla indietro”. Così ho passato la prima notte da mamma con una bimba sconosciuta nel letto, con la paura di farle del male e al tempo stesso inerme per il dolore dei punti.

A questo si è poi aggiunto che l’allattamento non è partito. La bambina non voleva saperne di attaccarsi e ho provato di tutto: con il paracapezzolo, senza paracapezzolo… C’era chi mi diceva che il mio seno era perfetto per allattare e chi, invece, sosteneva che non ci sarei mai riuscita. Così una sera sono crollata: ho avuto una crisi di pianto inarrestabile, mi sentivo non ascoltata, non capita, non accolta nel mio nuovo ruolo. Finché ho detto: “Io a questa bambina non voglio bene, questa bambina non la voglio”.

Qualcosa che si rompe dentro

Pensavo che sarebbe andata meglio una volta tornata a casa, in fondo il babyblues è una fase che attraversano molte neomamme. Eppure sentivo che qualcosa si era rotto dentro di me, anche se non sapevo che cosa. I giorni passavano, ma io non riuscivo ad essere coinvolta emotivamente: accudivo mia figlia, la curavo, la cambiavo, eppure ero un automa. Le mie azioni nel presente e la mia mente in un altrove. Non stavo bene, ma speravo che comunque ogni cosa si sarebbe aggiustata.

Invece a inizio estate – a circa 3 mesi dalla nascita di Paola – ho avuto di nuovo un crollo: ho capito di avere bisogno di aiuto. Per fortuna mio marito mi è sempre stato vicino e invece di colpevolizzarmi, di dirmi che dovevo rimboccarmi le maniche e che non dovevo lamentarmi perché nessuno ci aveva obbligato a diventare genitori, mi ha semplicemente risposto: “Va bene”.

Depressione post partumCosa sapere

L’inizio della terapia

Così sono entrata in terapia. Su internet ho cercato qualcuno che potesse aiutarmi e ho scoperto che all’ospedale Niguarda di Milano c’è uno sportello dedicato alle donne con la depressione post partum. Perché io soffrivo di questa malattia, ormai ne ero certa, anche se non avevo una diagnosi. Così quando Paola aveva 5 mesi ho iniziato il mio percorso con la terapeuta che mi ha cambiato la vita, Mara. Ho capito che c’erano dei nodi che mi portavo dietro da tanto tempo e che poi sono esplosi con la maternità: la mia scarsa autostima, per esempio, il fatto di non essere in grado di occuparmi di mia figlia nel migliore dei modi. E poi il rapporto con la mia famiglia d’origine, che mi ha sempre trattato da bambina anche quando bimba non lo ero più da tanto tempo. Mi sono nascosta per tanto tempo, cercando continuamente l’approvazione di chi mi voleva bene, perché se fossi stata all’altezza ai loro occhi allora sarei stata una persona migliore. Mi sono sempre messa da parte perché non volevo offendere i miei genitori dicendo il mio pensiero. E così loro si sono convinti che dicendo sempre sì, dessi loro sempre ragione, anche quando non ero d’accordo.

Poco per volta ho trovato il coraggio di prendermi cura di me stessa e piano piano sono guarita. E infatti a due anni esatti dalla nascita di Paola è arrivata anche Vittoria: il nome ovviamente non è stato scelto a caso.

Un sito per aiutare le mamme

Nel frattempo, per aiutare le mamme che come me si sono sentite molto sole e giudicate perché non vivevano felicemente il fatto di aver avuto un figlio, ho aperto un sito che si chiama www.post-partum.it in cui racconto non solo la mia esperienza, ma anche quella di altre donne e di operatori sanitari che si occupano delle madri in difficoltà. Perché bisogna imparare a essere più sincere, coinvolgere di più i papà e soprattutto capire che può capitare. E che non c’è niente di sbagliato: andare in terapia mi ha restituito Paola, una bimba che non ho vissuto da subito e che mi è stata restituita dopo che quella ladra della depressione mi aveva rubato la gioia di stare con lei.

 

Valentina Colmi

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3 outfit in 1 | La Collezione MAXI ME by Sweet As A Candy

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Quante volte mi sono ritrovata a guardare con occhi sognanti i meravigliosi abitini de Il Gufo pensando a quanto ne avrei voluto uno uguale anche per me. Sono certa che anche a voi è capitata spesso la stessa cosa. Quando gli abiti sono così belli è normale sognare di avere lo stesso vestito della propria bambina non trovate?
Finalmente è arrivata la capsule collection che in tante aspettavamo, dedicata a tutte le mamme che vogliono vestirsi come le proprie bambine: la collezione “MAXI ME.

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Quale miglior occasione per sfoggiare i nostri look Maxi Me se non la festa di compleanno di Ginevra e Greta?
Le mie bimbe hanno da poco compiuto 2 anni e dopo la festa in famiglia abbiamo festeggiato anche con gli amici più cari.
Io mi sono divertita moltissimo ad indossare questo splendido abito in tecnowool a quadri bianchi e neri ed anche le mie bimbe hanno sorriso felici nel vedermi vestita come loro.

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Questo abito è perfetto per me, la sua forma a trapezio e il retro leggermente più lungo gli regalano una vestibilità e comodità estrema.  E’ bello indossato sia con una scarpa più elegante sia con una sneaker.

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Lo potete acquistare cliccando QUI ; QUI potete invece trovare lo stesso abito ma nella misura bimba, un amore!

Non siete già innamorate anche voi della collezione MAXI ME??

Fotografie di Veronica Zanetti – Avoriophoto 

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Fonte: http://blog.ilgufo.com/3-outfits-1-the-maxi-collection-by-sweet-as-candy/